IMMACOLATA ERAMO

(Università di Bari)

 

RETORICA MILITARE FRA TRADIZIONE PROTRETTICA E PENSIERO STRATEGICO

 

Military Rhetoric between Protreptic Tradition and Strategic Thought

 

ABSTRACT: Rhetorica militaris, the logikon meros of Syrianus Magister’s compendium, is an original, unique stage of the history of the protreptic genre. While the first signs of the genre can be seen already in Homer’s Iliad, Thucydides’ Histories are in this field an unsurpassed example for later military historians, and particularly for Procopius. The rhetorical structure of the Rhetorica militaris, organized upon the theories attributed to Hermogenes of Tarsus, combines protreptic themes with strategic thought, which in the Byzantine age assumes a mature character. According to this theory, in times of war relational and emotional issues can be more important than battles with weapons.

KEY WORDS: Byzantine strategy, Harangues, Iliad, Procopius, Rhetorica militaris, Syrianus Magister, Thucydides.

 

SINTESI: La Rhetorica militaris, il logikon meros del compendio di Siriano Magister, si pone come tappa tanto originale quanto isolata del processo evolutivo del genere protrettico. Se i prodromi sono ravvisabili già nell’Iliade omerica, le Storie tucididee rappresentano anche per tale ambito un esempio insuperato per gli storici militari di età successive, tra questi soprattutto Procopio. L’opuscolo, il cui impianto è esemplato sulle teorie esposte nel corpus attribuito ad Ermogene di Tarso, coniuga i motivi protrettici con una riflessione strategica che nell’età bizantina assume una fisionomia matura: in guerra le istanze relazionali ed emozionali possono essere più importanti dello scontro in armi.

PAROLE CHIAVE: Discorsi protrettici, Iliade, Procopio, Rhetorica militaris, strategia bizantina, Siriano Magister, Tucidide.

 

Fecha de Recepción: 15 Junio de de 2010.

Fecha de Aceptación: 11 de Septiembre de 2010.

 

 

 

NELLO IONE (540d-e), Socrate cita tra le qualità essenziali per lo stratego il saldo possesso della parola, utile per infondere coraggio nei soldati. Anzi la considera virtù tanto cruciale da poter equiparare ad uno stratego qualunque rapsodo. Se è impensabile intraprendere una spedizione militare senza generali, altrettanto insensato sarà scegliere un generale che non abbia familiarità con la facoltà dell’eloquio, riflette nei suoi precetti sul comando Onasandro (Strat. 1.16). Ne è esempio illustre l’artefice della vittoria risolutiva sui Persiani, Temistocle, considerato il terzo grande oratore di Atene, dopo Solone e Clistene.[1] La perizia oratoria è proiezione delle capacità strategiche con cui il generale conduce il conflitto: pianifica tattiche come predispone parole, le quali fanno parte, anch’esse, della “panoplia” di un bravo comandante.[2] Per questo, sottolinea Fenice, ha avuto il compito di educare Achille, a che il suo allievo sia ad un tempo “buon parlatore e operatore di opere”,[3] e non a caso Agamennone esprime lodi per i due Aiaci, in quanto strateghi abili a “ben incitare le truppe in armi al combattimento”.[4]

Omero esprime giudizi lusinghieri sulla particolare facondia dei combattenti a Troia: è un piacere ascoltare Nestore, “dalla dolce parola e dalla lingua più dolce del miele” (Il. 1.248-249), mentre Menelao si esprime in modo sintetico, ma vibrato (Il. 3.213-215). Il migliore tra tutti è, ovviamente, Odisseo, il quale “quando voce sonora mandava fuori dal petto, parole simili ai fiocchi di neve d’inverno, allora nessun altro mortale avrebbe sfidato Odisseo”.[5] Anche l’abietto Tersite è arguto oratore, benché “lingua confusa” (Il. 2.246). Il richiamo alle virtù oratorie degli eroi omerici non assume mero valore esornativo; difatti le parole di incoraggiamento pronunciate da ciascuno stratego sortiscono gli effetti voluti: “così dicendo destò la furia e il coraggio d’ognuno”.[6] Sul campo di Troia si manifestano i prodromi di una dinamica relazionale che il pensiero militare codificherà nel I secolo d.C., nello Strategikos di Onasandro: la parola è utile non soltanto per alleviare il dolore di una qualche sventura – in questo ben più preziosa di medici e farmaci, che curano soltanto mali fisici ed evidenti (Strat. 1.14-15) –, ma anche per creare la necessaria complicità e unità di intenti, soprattutto all’approssimarsi del conflitto; l’incitamento del generale rende ciascun soldato ardimentoso allo scontro e pronto a correre ogni rischio. Per questo a Canne Annibale esalta in maniera incondizionata i pregi dell’allocuzione protrettica proprio nel momento in cui, con una efficace preterizione, ne mette in evidenza i limiti o addirittura l’inconsistenza per truppe che, ormai, hanno tale esperienza del nemico da poter assumere proprio da questa argomenti sufficienti per scendere in campo (Polyb. 3.111.5-7). I destinatari di una demegoria protrettica sono uomini adusi alle fatiche e ai disagi di guerra, che già hanno affrontato nemici e pericoli. L’allocuzione parenetica rappresenta un elemento ulteriore, di diversa tipologia rispetto all’armamentario propriamente bellico, a fronte di una situazione del tutto eccezionale e grave,[7] come l’inizio dello scontro, nella quale vengono messi alla prova non tanto la forza o l’abilità nelle armi, quanto soprattutto il valore di ciascuno e la tenuta psicologica dell’esercito nel complesso. Per tale motivo l’arringa non si configura come un insieme di parole di circostanza, che non hanno alcun utile se non allietare l’uditorio,[8] ma serve ad infondere coraggio in una situazione difficile, “per quelle facili non ve ne sarebbe alcun bisogno”: sarebbe infatti un’offesa, indice di pochezza, ricorrere ad esortazioni per azioni non rischiose né eccezionali, perché quelle ciascuno sa compierle da sé, considera Tito rivolgendosi alle truppe prima di affrontare i riottosi giudei.[9] D’altro canto, l’allocuzione protrettica mette alla prova le capacità psicologiche e psicagogiche del generale, che ricorre alle risorse della parola soltanto se profondamente convinto del loro felice esito da una parte, della valentia e del coraggio dei soldati dall’altra.

 

Ma, “for what counts in the Homeric speaker is not eloquence, or at least not eloquence alone, but the content of his speech. Behind the words, the µῦθοι, the audience senses the speaker’s superior understanding and insight, his νοῦς. There is certainly in Homer no discidium linguae atque cordis”.[10] A Omero risalgono quei motivi protrettici che la tradizione ha consacrato come propri del genere e puntelli infallibili per la parenesi al coraggio.[11] Quintiliano dava inizio alla sua dissertazione sui generi letterari proprio partendo da Omero, anche per il genere retorico πρῶτος εὑρετής, benché di una forma non ancora elaborata o retoricamente articolata.[12]

 

Effettivamente l’eredità più durevole che i discorsi degli strateghi omerici hanno lasciato non è la struttura retorica, come anche la capacità suasoria degli eroi locutori, quanto gli argomenti, i µῦθοι: la consapevolezza che la divinità operi in proprio favore,[13] l’affermazione della inderogabilità del combattimento, a fronte del disonore rappresentato dalla fuga,[14] cui tuttavia sarà possibile fare ricorso in una situazione di incertezza,[15] il richiamo alle gesta degli antenati,[16] l’importanza di difendere la propria patria, e con essa famiglia e beni,[17] la stigmatizzazione di codardia e mollezza,[18] il ricordo di passate vittorie,[19] il valore della gloria e delle ricompense per i vincitori.[20]

 

È significativo un dato recentemente messo in luce dagli studi di antropologia comparata, secondo il quale il motivo protrettico principale di ogni arringa, l’esortazione a dar prova di coraggio e a non essere vili, è comune a più tradizioni culturali. Per citare solo alcuni esempi,[21] l’esortazione di Ettore a rinnovare la memoria del proprio coraggio (Il. 6.112) è presente anche nel Beowulf e in un antico inno babilonese, oppure il rimbrotto di Agamennone agli Achei per la loro codardia trova un parallelo nell’epica sassone e nella versione latina del perduto Biarkamál, dove l’eroe danese Hjalti rianima i compagni inerti a resistere agli attacchi di Hjorvard. Nell’epica indiana si rinviene una corrispondenza con l’esortazione a dare prova di valore pronunciata da Sarpedone in Il. 16.422 o la domanda retorica che Agamennone rivolge ai suoi soldati (τίφθ' οὕτως ἔστητε τεθηπότες ἠΰτε νεβροί;) in Il. 4.243.

 

Se, poi, vogliamo guardare all’ambito storiografico, l’introduzione di parole direttamente pronunciate dai protagonisti non inficia, secondo i criteri di veridicità che gli autori applicavano alle proprie opere, la qualità della ricerca storica in sé, va invece ricondotta alla volontà di rendere efficace la narrazione, secondo il principio, che affonda le radici nell’epos omerico ma al quale Tucidide attribuisce valore programmatico, secondo cui λόγοι e πράξεις sostanziano, insieme, l’essenza dei πραχθέντα. Le arringhe dei generali prima dello scontro sono anche occasione per conoscere situazioni, piani, abilità e caratteri legati alla strategia del comando.[22] In definitiva, i discorsi erano utili allo storico per rendere il lettore spettatore dei fatti narrati, abilità che già Plutarco riconosceva a Tucidide.[23] Anche in tale materia Tucidide si rivela un innovatore rispetto alla tradizione dei logografi che lo hanno preceduto: se non ha potuto prendere appunti ad ogni discorso pronunciato e annotarne il resoconto, comunque egli assicura di essersi attenuto alla συµπάσα γνώµη delle parole pronunciate, riportando ὡς δ' ἂν ἐδόκουν µοὶ ἕκαστοι περὶ τῶν αἰεὶ παρόντων τὰ δέοντα µάλιστ' εἰπεῖν (1.22.1), ben consapevole che “i discorsi racchiudono […] il significato, o i significati contrastanti, che una data situazione storica esprime, e di cui si fanno veicolo i protagonisti”.[24] Stratego egli stesso, verosimilmente talvolta uditore delle allocuzioni pronunciate o comunque a contatto diretto con i protagonisti di quegli eventi,[25] è probabile che Tucidide abbia trasformato anche brevi incitamenti, apoftegmi e incoraggiamenti in orazioni articolate, “nello sforzo di rispecchiare, pur nella rielaborazione, le parole effettivamente pronunciate”.[26] Per esempio a Pilo Demostene rivolge parole di incitamento al manipolo ristretto di soldati che si è scelto per l’ardita impresa: sta a loro slanciarsi nello scontro con coraggio, senza pensare ai pericoli, perché una situazione cogente, come quella che si va profilando, non dà spazio ai ragionamenti; una valutazione ben ponderata degli eventi spetta a lui in quanto stratego, e proprio in base a questa può rassicurarli sui vantaggi, prima di tutto il difficile accesso al luogo, ma anche la dinamica dello sbarco, nel corso del quale i nemici non potranno fare affidamento sulla superiorità numerica (Thuc. 4.10). Nel campo spartano, Brasida dà prova delle migliori capacità suasorie durante la campagna di Amfipoli. All’esercito schierato degli ἄνδρες Πελοποννήσιοι, di diversa stirpe ma a cui si rivolge richiamando la comune origine dorica,[27] più che i motivi topici della parenesi, ai quali riserva l’allocuzione finale (volontà, senso dell’onore, obbedienza ai capi, consapevolezza dell’importanza della posta in gioco, sollecitudine del suo comando), Brasida vuole soprattutto esporre la dinamica dello scontro che si va ad affrontare, sostanzialmente un attacco a sorpresa, uno dei κλέµµατα che procura la gloria più bella, “perché è con questi che si inganna il nemico e si giova agli amici” (5.9). A Delio Ippocrate rivolge ai soldati una παραίνεσις volutamente breve, ma ugualmente efficace proprio per il valore degli uditori: gli basta ricordare il motivo per cui si combatte in terra straniera, la libertà della patria e le gesta degli antenati, che già occuparono quei territori (4.95). Ippocrate interrompe l’incitamento a metà, all’apparire delle truppe beote giù dalla collina, anch’esse brevemente esortate da Pagonda καὶ ἐνταῦθα (4.96.1). Costui aveva già incoraggiato i Beoti alla battaglia, contro il parere degli altri dieci colleghi,[28] e in un modo alquanto atipico, ovvero προσκαλῶν ἑκάστους κατὰ λόχους, ὅπως µ ἀθρόοι ἐκλίποιεν τὰ ὅπλα (4.91):[29] è un errore starsene inattivi alla mercé delle decisioni del nemico, che assale non per difendere quanto è proprio ma per conquistare; al contrario bisogna portare la guerra al di fuori del confine, traendo ammaestramento dalle conquiste fatte in passato, essere memori delle antiche imprese e all’altezza delle virtù dei padri, confidando nell’aiuto degli dèi, i cui santuari sono stati profanati dai nemici (4.92). Anche i discorsi contrapposti di Nicia ed Alcibiade alla vigilia della spedizione in Sicilia, benché siano stricto sensu demegorie assembleari, contengono elementi propri delle arringhe protrettiche. Alla parte informativa vera e propria – la διδαχή alla massa di cui entrambi si fanno interpreti – segue l’esortazione per l’uno ad essere lungimiranti, ad avere caro l’interesse della patria e a non imbarcarsi in un’impresa rischiosa e incerta, per l’altro ad estendere l’impero con imprese pari a quelle compiute dai padri e ad acquisire quell’esperienza che solo l’attività assicura (6.9-10, 17-18).[30] Il caposaldo oratorio della perorazione di Alcibiade, il riferimento alle debolezze nemiche unito alla consapevolezza dei propri vantaggi, ricorre nel discorso di Formione alla flotta ateniese vittoriosa nel golfo di Patre. Nonostante il recente successo l’equipaggio è spaventato: numerose sono le imbarcazioni avversarie schierate. Per prima cosa Formione dissipa tutti i timori, dimostrando come la superiorità numerica sia in realtà rivelatrice di una condizione di incertezza e di svantaggio. Quanto poi al proverbiale coraggio del nemico, esso si è espresso sempre in combattimenti di terra, dal momento che “nel campo in cui ciascuno è più esperto lì diventa anche più audace”: l’esperienza non solo compensa le qualità innate, ma le sviluppa. Il monito e l’incoraggiamento finale sarà pertanto mantenere ordine e silenzio, obbedire ai comandanti e rinnovare i fasti delle passate vittorie (2.89). Il valore dell’esperienza è ancora nelle parole di uno stratego ateniese, Nicia, a Siracusa nel 415, per un’esortazione volutamente breve: la macchina da guerra è già di per sé sufficiente a infondere coraggio, inoltre evidenti sono le difficoltà dei nemici, i quali sono numerosi ma disorganizzati, coraggiosi ma inesperti (6.68). Questa volta, a differenza dei Peloponnesiaci del 429 che non hanno indugiato a ingaggiare la battaglia navale, i Sicelioti valutano più attentamente la situazione. È Ermocrate che analizza le cause della precedente sconfitta: non la mancanza di coraggio, ma l’assenza di ordine e disciplina, l’aver combattuto, da ἰδιῶται, contro χειροτέχναι. Per rendere le truppe all’altezza degli avversari sarà necessario ridurre il numero dei generali, scegliendone tuttavia di µπειροι cui affidare pieni poteri, e sottoporre i soldati ad un rigoroso programma di addestramento (6.72).

 

A Tucidide guarda “la migliore storia militare bizantina”:[31] prima che storico, Procopio fu per anni, al seguito di Belisario,[32] testimone ed esperto conoscitore di guerra,[33] interprete di quella consapevolezza, ormai diffusa nella pratica del tempo, secondo la quale la forza e il numero possono essere utilizzati solo come argomenti suasorii, laddove il successo in guerra dipende da altri fattori, dalla disciplina, dall’esperienza, dalla conoscenza dell’avversario e dai rapporti diplomatici[34] – sì da poter addirittura evitare la prova delle armi o dimensionarne la portata – finanche il ricorso a stratagemmi e astuzie, la superiorità tecnologica, infine la fortuna, che si accompagna all’abilità del generale.[35] Alle parole del re dei Saraceni Alamundaro egli affida considerazioni generali su come affrontare la guerra: non bisogna avere fiducia nella mutevolezza della sorte o al contrario nei passati successi; per questo gli uomini che sanno di non potersi fidare della fortuna non si gettano in maniera sconsiderata nella mischia, anche se ritengono di essere superiori al nemico, ma cercano di ingannare gli avversari con astuzie e stratagemmi (ἀπάτῃ τε καὶ µηχαναῖς), in quanto l’uso delle armi da solo non dà garanzia di vittoria (Proc. Pers. 1.17.32-33). “These words described the reality of warfare in the age of Justinian. It was a warfare of patience, timing, cleverness, and endless maneuvring. Glory and zeal in battle were not regarded as essential qualities for success in war, which was difficult and serious business”.[36] Come Tucidide, che sempre ha a modello, Procopio delinea un quadro assolutamente illuminante e fededegno della realtà militare del suo tempo: “the reader of his Wars does acquire a much better understanding of sixth-century warfare and the mentality of military decision makers and subordinates than one can find in other Byzantine sources on Byzantine military history of the sixth or later centuries. That is an achievement. Far less certain is whether his careful crafting of military history had any effect whatever on the quality of subsequent military decisionmaking in the Byzantine Empire”.[37] Emulo di Tucidide anche nell’elaborazione dei numerosi discorsi che innervano la trama narrativa dei Bella e fedele ai principii metodologici esposti dal Maestro, Procopio riesce a realizzare un opus oratorium ad alto livello di elaborazione stilistica (che gli valse l’appellativo di ῥήτωρ καὶ σοφιστής)[38] e con variazione di registri, dalla disperazione[39] alla ironia[40] al pathos. Nelle esortazioni che precedono le battaglie – gran parte delle quali strutturate a coppia – gli argomenti protrettici mostrano il risultato maturo di un processo di ripetizione e di cristallizzazione, la cui consapevolezza Procopio attribuisce agli stessi locutori come ai fruitori. Ne è inevitabile conseguenza la ricorrente e insistita reticenza, che tuttavia finisce per affermare il valore del discorso protrettico proprio nel momento in cui annuncia di svilirne significato ed esiti: il mirrane Peroze esordisce ammettendo che il suo esercito dia prova di coraggio non in quanto spronato dal generale, ma perché avvezzo ai pericoli (Proc. Pers. 1.14.13); così come una παραίνεσις non è necessaria alla εὐψυχία, quando già la necessità induce ad essere coraggiosi, nelle parole di Gubaze re dei Lazi prima della battaglia al fiume Hippis, parole che tuttavia costituiscono l’esordio di un’esortazione protrettica (Goth. 8.8.6). Prima della battaglia contro Totila, Narsete lusinga l’uditorio mettendone in evidenza la pratica consumata di guerra, che non necessita di parole: i discorsi sono utili alle reclute, non ai Romani (Goth. 8.30.1).[41]

 

L’esempio di Procopio dimostra che anche in materia di discorsi “Tucidide legiferò” (εὖ µάλα τοῦτ' ἐνοµοθέτησεν: Luc. Hist.Conscr. 42), tanto da essere considerato il πρῶτος εὑρετής di discorsi elaborati secondo principii retorici.[42] In polemica con il metodo storiografico di Timeo, che avrebbe inserito nella sua opera discorsi fittizi alla maniera delle scuole di retorica soltanto per fare sfoggio di eloquenza, Polibio opera una chiara distinzione dei λόγοι che possono essere utilizzati in un’opera storica (12.25a.3 e 25i.3): δηµηγορίαι, che in 12.25i.3 definisce συµβουλευτικοὶ λόγοι, richiamandosi al genere deliberativo proprio della tradizione aristotelica (Arist. Rh. 1358b), rivolti ad un’assemblea (sia essa una βουλή sia anche un generico δῆµος), παρακλητικοὶ λόγοι (o παρακλήσεις), arringhe dei generali ai soldati prima di una battaglia, e πρεσβευτικοὶ λόγοι, discorsi degli ambasciatori.[43] Sulla scia di Tucidide, Polibio aggiunge ai criteri della ἀλήθεια e del καιρόν quello del πρέπον. Guardando sempre a Timeo come riferimento polemico, ritiene la pratica e l’esperienza sul campo le qualità che servono allo storico per esporre in ogni circostanza tutti i possibili argomenti; se facile risulta ῥησικοπεῖν nei libri, difficile è investigare le ragioni e le cause di un evento, anche quello in occasione del quale il discorso viene pronunciato. Nella stessa maniera inserire brevi discorsi ma in modo confacente al καιρόν è possibile a pochi, affastellare il racconto di parole magari anche efficaci ma inutili è cosa alla portata di tutti (12.25i.5-9). E ancora, riflettendo in sede programmatica sulla funzione e sull’utilità dei discorsi in una narrazione storica, Polibio riafferma la rinuncia a elementi puramente esornativi, inutili alla comprensione degli eventi, a favore della scelta di riportare, dopo accurata indagine, quanto si ritiene più importante e in grado di determinare maggiori conseguenze (36.1).

 

Il criterio non dell’ἀλήθεια ma esclusivamente del πρέπον Dionigi di Alicarnasso ritiene debba regolare la presenza e i caratteri dei discorsi da inserire nelle opere di storia; sulla base di tale virtus elocutionis, per la raffigurazione dei caratteri e l’aderenza alla forma espressiva dei personaggi considera Erodoto il migliore, anche rispetto a Tucidide,[44] a suo giudizio uso ad introdurre discorsi superflui o ad ometterne di necessari, appunto non “secondo quanto convenga”.[45] Alle demegorie protrettiche, tuttavia, egli dedica un cenno cursorio, invocandole come elemento di confronto per l’ambito atletico e agonistico,[46] secondo un procedimento non ignoto al genere retorico.[47]

Nel settembre del 413 Nicia ha già esperito ogni tentativo per ridare coraggio e fiducia alle truppe ateniesi ormai stremate e in preda al più profondo scoramento. Si rivolge ai trierarchi, invocando quegli argomenti a cui gli uomini “fanno sempre ricorso senza curarsi di aver l’aria di ripetere vecchi discorsi triti e ritriti, sempre simili per ogni occasione ma che pure vengono gridati a gran voce perché si ritiene che siano effettivamente utili nel momento in cui la paura regna sovrana” (Thuc. 7.69.2, trad. A. Corcella).[48] Come i µῦθοι della parenesi omerica, così gli argomenti cui Nicia ricorre quale ultima ratio, quell’ ἀρχαιολογεῖν che costituisce il repertorio dei motivi “assolutamente necessari”, sempre uguali a se stessi e perciò validi in ogni occasione (ὑπὲρ ἁπάντων παραπλήσια), assumono codificazione retorica soltanto nell’età bizantina, nel λογικὸν µέρος del compendio attribuito a Siriano Magister, ovvero nell’opuscolo tràdito come ∆ηµηγορίαι προτρεπτικαὶ πρὸς ἀνδρείαν ἐκ διαφόρων ἀφορµῶν λαµβάνουσαι τὰς ὑποθέσεις, ma chiamato Rhetorica militaris a seguito della prima e finora unica edizione curata da Hermann Köchly.[49]

 

Allo stesso autore della Rhetorica militaris la tradizione degli studi ascrive la composizione del De re strategica,[50] scritto tràdito adespoto e acefalo che, dopo una prima parte dedicata alla πολιτεία e alle sue parti e un excursus su tecniche di difesa da assedi e costruzioni di città, tratta specificamente di tattica delle truppe di terra. Alla mano di Siriano è poi attribuito lo scritto di tattica navale edito da Karl Konrad Müller nel 1882 con il titolo De proelio navali.[51] Nel 1937 Alphonse Dain rese nota la lettura dell’impronta, lasciata sul verso del f. 332 dell’Ambrosianus B 119 sup. dal recto di un foglio ora perduto, della inscriptio di questo opuscolo: ΝΑΥΜΑΧΙΑΙ ΣΥΡΙΑΝΟΥ ΜΑΓΙΣΤΡΟΥ.[52] Tale notizia, associata all’ipotesi della comune paternità dei tre scritti, variamente esposta ed articolata fin dai tempi di Lukas Holste,[53] induce ad attribuire a Siriano non solo le Ναυµαχίαι, ma anche il De re strategica e la Rhetorica militaris. Non saremmo, poi, molto lontani dal vero nell’identificare costui nell’autore che Costantino VII raccomandava al figlio Romano di portare con sé durante le campagne militari nell’ Ὅσα δεῖ γίνεσθαι τοῦ µεγάλου καὶ ὑψηλοῦ βασιλέως τῶν Ῥωµαίων µέλλοντος φοσσατεῦσαι[54] e il cui nome compare tra le fonti dei Tactica di Niceforo Urano nella inscriptio del Constantinopolitanus gr. 36,[55] oltre che nella lista in colonna di nomi, in corrispondenza di ἀρχαίαις καὶ δὴ καὶ ταῖς νεωτέραις στρατηγικαῖς τε καὶ τακτικαῖς µεθόδοις (proe. 5), leggibile a margine di cinque manoscritti della recensione laurenziana delle Tacticae constitutiones di Leone VI (᾿Αρριανοῦ, ᾿Αιλιανοῦ, Πέλοπος, ᾿Ονησάνδρου, Μενᾶ, Πολυαίνου, Συριανοῦ, Πλουτάρχου).

 

La Rhetorica militaris si configura come un manuale di δηµηγορική τέχνη e al tempo stesso un vademecum ad usum strategorum. In 58 capitoli l’opera espone le caratteristiche delle singole parti che costituiscono una demegoria protrettica (προοίµιον, προδιήγησις, προκατασκευή), le loro articolazioni (πρόβληµα, προβολή, κεφάλαιον), i modi in cui queste si strutturano, ovvero i motivi generali che ispirano l’esposizione (νόµιµον, δίκαιον, συµφέρον, δυνατόν, ἔνδοξον, ἐκβησόµενον, ma anche κεφάλαια πλαστά), l’argomentazione, con i suoi fondamenti (πρᾶγµα, πρόσωπον, χρόνος, τόπος, ἀιτία), e l’esposizione (ἐργασία), insieme con gli esempi utilizzati a supporto, a confronto, a spiegazione, infine i caratteri della parte conclusiva (ἐπίλογος), dell’epinicio (ἐπινίκιος), del discorso consolatorio (παραµυθητικός) o di rimprovero (τραχύς).

 

Dal punto di vista retorico, l’opuscolo è erede di quella tradizione che studia non le parti del discorso, ma le loro qualità, rinvenendo il proprio modello nella Τέχνη ῥητορική attribuita ad Ermogene di Tarso:[56] il Retore della dottrina degli status, che aveva compiuto un’opera sistematica di sintesi e organizzazione delle teorie dei suoi predecessori, primo fra tutti Ermagora di Temno, rappresenta il punto di riferimento per la griglia strutturale e il substrato concettuale dell’opera di Siriano. Per due volte, ad onta del silenzio che riserva ad altre fonti da cui trae ispirazione e materia, tra cui soprattutto gli scrittori di tattica e poliorcetica, egli fa esplicito riferimento all’opera di Ermogene,[57] ovvero con rimandi rapidi ed essenziali richiama nel lettore un bagaglio di conoscenze consolidato ed individuabile. In particolare la dottrina delle στάσεις elaborata da Ermogene, con la sua esposizione tassonomica di tutti i possibili soggetti con cui un oratore potrebbe misurarsi nell’affrontare un determinato argomento, si rivela per Siriano oltremodo utile, in quanto fornisce un articolato e precostituito piano di composizione per il discorso protrettico. Tra gli altri, un riferimento puntuale per l’articolazione della struttura retorica dell’opuscolo è dato dal cap. 2.4 dello pseudoermogeniano Περὶ εὑρέσεως, nel quale sono esposte le modalità con cui possono essere organizzati gli argomenti che costituiscono la preesposizione (προκατάστασις) e la narrazione (διήγησις): della trattazione Siriano privilegia l’articolazione dei discorsi per la guerra ed esplicita l’intenzione di tralasciare la confutazione di questo argomento, ovvero la pace, a differenza della fonte, che presenta e l’una e l’altra.[58]

 

Dalla fonte l’Autore trae in maniera quasi sistematica nozioni e definizioni: δηµηγορίαι (Rhet. mil. 1.3 e 7.1: Meth. 36); πραγµατική (sott. στάσις, Rhet. mil. 3.2 e 7.1: Stat. 2); πρόβληµα (Rhet. mil. 7.2, 8.1: Meth. 21); προοίµιον, προκατάστασις, προδιήγησις, προκατασκευή (Rhet. mil. 4.1-2, 5.2: Inv. 2.1 e 3.2); διήγησις (Rhet. mil. 6.3: Inv. 2.1 e 2.7); προβολή (Rhet. mil. 4.2, 7.2, 8.1: Stat. 4); κεφάλαιον (Rhet. mil. 7.2: Inv. 3.4); ἐπιχείρηµα (Rhet. mil. 7.2 e 25.1-2: Inv. 3.5); ἐργασία (Rhet. mil. 7.2 e 29.2: Inv. 3.7); ἐνθύµηµα (Rhet. mil. 7.2, 35.1 e 35.3: Inv. 3.8-9); νόµιµον, δίκαιον, συµφέρον, δυνατόν, ἔνδοξον, ἐκβησόµενον (Rhet. mil. passim 8-18: Stat. 7); ἐπίλογος (Rhet. mil. 49.1: Stat. 3); δευτερολογία (Rhet. mil. 49.5: Stat. 3); ἰδέαι (Rhet. mil. 51: Id. 1.1); τραχύς e σφοδρός (sott. λόγος, Rhet. mil. 51 e 54.1: Id. 1.7 e 2.7-8). Pur tuttavia trasceglie dal modello soltanto quanto risulta funzionale al proprio specifico ambito di interesse. Per esempio non fornisce alcuna spiegazione per i προοίµια ἐξ ὑπολήψεως, che il lettore avrebbe potuto agevolmente rinvenire nel primo capitolo del Περὶ εὑρέσεως, così come evita di soffermarsi sul τὸ γὰρ ἕτερον τῆς προκατασκευῆς, per il quale lo Ps.-Ermogene rimanda all’autorità degli antichi:[59] “prefazione è annuncio dei punti che stanno per essere elaborati; l’altro tipo di prefazione, infatti, non è funzionale al presente scopo” (Rhet. mil. 4.2).

 

A differenza del modello, per esigenze di chiarezza e per orientare il lettore, Siriano riserva ampio spazio agli esempi,[60] che traggono materia dal repertorio consolidato della tradizione protrettica: disposizione paterna del generale nei confronti delle truppe e sua cura costante per il loro benessere e la loro incolumità (Rhet. mil. 5.1, 22.4, 32, 36.2, 43, 44.3, 53.2), legittima punizione dei torti perpetrati dai nemici (Rhet. mil. 5.1-2, 13, 14.6, 28.3), esaltazione delle virtù dei soldati (Rhet. mil. 5.2, 6.1, 31, 33, 37.2), attaccamento alla patria (Rhet. mil. 8.3, 11, 47.2-3), empietà e nefandezze degli avversari (Rhet. mil. 5.2, 13, 14.7, 26, 28.2-3), elogio degli antenati (Rhet. mil. 32, 37.7-8), memoria dei successi del passato (28.2, 37.2, 44.4, 45.1), aspettative dei beni futuri (Rhet. mil. 8.3, 14.5-8, 28.4, 46.1), ambizione di gloria e desiderio di ricompensa (Rhet. mil. 18.2, 21.3, 33, 45.3-10), necessità di combattere in nome e in difesa della giustizia (Rhet. mil. 7.2, 37.6-8).

 

Anche considerazioni generali, di carattere più propriamente strategico, sono contemplate tra gli esempi della Rhetorica militaris, le stesse che i generali, locutori delle arringhe protrettiche, traevano dalle trascorse esperienze o dalle situazioni contingenti: è necessario cogliere il momento opportuno in ogni situazione (Rhet. mil. 14.3-5, 27.1, 39.5-6, 46.3-4),[61] per questo è utile prevenire ogni iniziativa nemica (14.9);[62] bisogna astenersi da un gesto di eroismo individuale ma che abbia effetti letali per l’esercito (41.3-4);[63] è giusto punire non solo chi commette ingiustizie, ma anche chi non sente il dovere di difendere gli altri da chi se ne è reso responsabile (7.2, 9.2-3, 13, 28.2, 37.6);[64] è della natura di ciascuno difendere ciò che è proprio (14.7, 28.4, 38);[65] è utile e opportuno obbedire ai comandi del generale, che ha a cuore le sorti delle truppe (5.2, 36.2, 43, 44.1-4);[66] l’abilità in guerra è frutto di esercitazione e di esperienza (14.6, 41.1-3);[67] la fuga può essere utile, ma soltanto a condizione di aver salva la vita, altrimenti è meglio affrontare l’incognita della battaglia piuttosto che andare incontro ad una morte disonorevole (39.6, 52.8);[68] la fortuna è spesso arbitra degli eventi umani (14.5-6, 46.5-7).

 

La Rhetorica militaris rappresenta, così, un elemento tanto originale quanto unico di raccordo fra retorica, tradizione protrettica e polemologia, l’unico manuale di retorica militare che la tradizione ha serbato. Se è vero che “la retorica antica non ha mai fornito precetti per i discorsi dei generali”, dal momento che, evidentemente, le allocuzioni effettivamente tenute sul campo non potevano che essere improvvisate e calibrate per l’occasione,[69] è altresì vero che le cronache di guerra hanno determinato caratteri di omogeneità tali da essere, poi, considerati suscettibili di codifica: “ammesso che gli storici antichi riuscissero a informarsi sugli argomenti usati, nella maggior parte dei casi non erano in grado di precisare in che modo e in quali circostanze il generale si era rivolto ai soldati e non potevano far altro che ricostruire un discorso per così dire canonico, cioè formalizzato, affine per struttura e stile ai discorsi, di genere diverso, che si studiavano nelle scuole di retorica”.[70]

 

Trovarono soluzioni ad esigenze avvertite anche in altre epoche. In piena età dei Lumi, Gabriel Bonnot de Mably guardava agli scrittori di storia greci e romani per i suoi precetti De la manière d’écrire l’histoire. Considerava l’utilità che i discorsi potevano rappresentare per delineare i caratteri dei protagonisti, ovvero rendere la narrazione “plus vive, plus animée et plus interessante”, il lettore di quegli eventi spettatore o attore, pur nella consapevolezza di essere davanti ad un’invenzione magistralmente architettata:

 

Mais faites attention que vous introduisez le roman dans l’histoire. Le lecteur se défie de toutes ces harangues, il sent qu’elles sont l’ouvrage de l’historien, et dès-lors l’histoire ne lui inspire plus aucune confiance. [...] Les lecteurs qui ne songent qu’à s’amuser ne chicaneront point un historien qui leur plaît; et ceux qui ayant plus d’esprit, cherchent à s’instruire, savent bien que ces harangues n’ont point été prononcées; mais ils veulent connoître les motifs, les pensées, les intérêts des personnages qui agissent; on exige que l’historien qui doit les avoir étudiés éclaire et guide notre jugement; et on lui sait gré de prendre un tour qui frappe vivement notre imagination et rend la vérité plus agréable à notre raison. Ces harangues animent une narration; nous oublions l’historien, nous nous trouvons en commerce avec les plus grands hommes de l’antiquité, nous pénétrons leurs secrets, et leurs leçons se gravent plus profondément dans notre esprit. Je suis présent aux délibérations et à toutes les affaires; ce n’est plus un récit, c’est une action qui se passe sous mes yeux”.[71]

 

 

IMMACOLATA ERAMO

Università degli Studi di Bari Aldo MoroDipartimento di Scienze dell’Antichità Palazzo Ateneo, Piazza Umberto I n.1

70121 Bari (Italia) i.eramo@lettere.uniba.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

ALBERTUS, J. (1908), Die παρακλητικο in der griechischen und römischen Literatur, Strassburg: Trübner.

BALDWIN, B. (1988), “On the Date of the Anonymous Περὶ στρατηγικῆς”,

Byzantinische Zeitschrift 81, 290-293.

BONNOT, G. (1783), De la manière d’écrire l’histoire, Paris: Jombert.

BRAUN, H. (1885) Procopius Caesariensis quatenus imitatus sit Thucydidem (Diss. Inauguralis […] ab amplissimo philosophorum ordine Erlangensi), Erlangae: Typis Jungii et filii.

BURGESS, T.C. (1902), Epideictic Literature, Chicago: The University of Chicago Press.

CAGNAZZI, S. (1986), “L’ἀρχαιολογεῖν di Nicia (Tucidide VII 69,2)”, Athenaeum n.s. 64, 492-497.

CAMERON, A. (1985), Procopius and the Sixth Century, Berkeley-Los Angeles: University of California Press.

CANFORA, L. (1992), “L’agorà: il discorso suasorio”, in G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza (dir.), Lo spazio letterario della Grecia antica. I, La produzione e la circolazione del testo. I, La polis, Roma: Salerno, pp. 379-395.

COSENTINO, S. (2000), “The Syrianos’s «Strategikon»: A 9th Century Source?”,

Bizantinistica n.s. 2, 243-280.

DAIN, A. (1937), La «Tactique» de Nicéphore Ouranos, Paris: Les Belles Lettres.

(1943), Naumachica, Paris: Les Belles Lettres.

ERAMO, I. (2007), “ἄνδρες στρατιῶται. Demegorie protrettiche nell’Ambrosianus B 119 sup.”, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari 50, 127-165.

(2008), “Omero e i Maccabei: nella biblioteca di Siriano Μάγιστρος”, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” 51, 123-147.

(2009), Ρωµαῖοι e Αραβες a battaglia? Nota al De re strategica di Siriano

Μάγιστρος”, Invigilata Lucernis 31, 95-104.

(2010), “Sulla datazione del compendio di Siriano Magister”, in c.d.s.

FLEURY, P. (2001), “La flûte, le général et l’esclave: analyse de certaines métaphores rhétoriques chez Fronton”, Phoenix 55, 108-123.

GABBA, E. (1996), Dionigi e la Storia di Roma Arcaica, Bari: Edipuglia (Dionysius and the History of Archaic Rome, Berkeley: University of California Press 1991).

GRUNDY, G.B. (19482, 1948), Thucydides and the History of His Age, I-II, Oxford: Blackwell.

HAMMOND, N.G.L. (1973), “The Particular and the Universal in the Speeches in Thucydides, with Special Reference to that of Hermocrates at Gela”, in Ph.A. Stadter (ed. by), The Speeches in Thucydides. A Collection of Original Studies with a Bibliography, Chapel Hill: University of North Carolina Press, pp. 49-59.

HANSEN, M.H. (1993), “The Battle Exhortation in Ancient Historiography. Fact or Fiction?”, Historia 42, 161-180.

(2001), “The Little Grey Horse. Henry V’s Speech at Agincourt and the Battle Exhortation in Ancient Historiography”, Classica et Mediaevalia 52, 95-114.

HARDING, H.F. (1973), The Speeches of Thucydides. With a General Introduction and Introductions for the Main Speeches and the Military Harangues, Lawrence: Coronado Press.

IGLESIAS ZOIDO, J.C. (2000), “¿Se pronunciaron realmente las arengas de Tucídides?: el testimonio de Th. VII, 61-70”, Athenaeum 88, 515-528.

(2007), “The Battle Exhortation in Ancient Rhetoric”, Rhetorica 25, 141-158.

(2008), “La arenga militar en la historiografía griega: el modelo de Tucídides y sus antecedentes literarios y retóricos”, in Retórica e historiografía: el discurso militar en la historiografía desde la Antigüedad hasta el Renacimiento, Madrid-Cáceres: Ediciones Clásicas-Universidad de Extremadura, pp. 231-258.

JEBB, R.C. (1880), The Speeches of Thucydides, in E. Abbott (ed. by), Hellenica. A Collection of Essays on Greek Poetry Philosophy History and Religion, Oxford- Cambridge: Rivington Press, pp. 266-323.

KAEGI, W.E. (1983), Some Thoughts on Byzantine Military Strategy, Brookline [Mass.]: Hellenic College Press.

(1990), “Procopius the Military Historian”, Byzantinische Forschungen 15, 53-85. KEITEL, E. (1987), “Homeric Antecedents to the Cohortatio in the Ancient

Historians”, Classical World 80, 153-172.

KENNEDY, G.A. (1957), “The Ancient Dispute over Rhetoric in Homer”, American Journal of Philology, 78, 23-35.

KÖCHLY, H. – RÜSTOW, W. (1855), Des Byzantiner Anonymus Kriegswissenschaft, nebst einem dreisachen Anhange und den erklärenden Anmerkungen zu den drei Taktikern (Griechische Kriegsschriftsteller, griechisch und deutsch mit kritischen und erklärenden Anmerkungen von H. Köchly und W. Rüstow, II2), Leipzig: Engelmann.

LATEINER, D. (1985), “Nicias’ Inadequate Encouragement (Thucydides 7. 69. 2)”,

Classical Philology 80, 201-213.

LEE, D. – SHEPARD, J. (1991), “A Double Life: Placing the Peri Presbeon”, Byzantinoslavica 52, 15-39.

LEIMBACH, R. (1985), Militärische Musterrhetorik. Eine Untersuchung zu den Feldherrnreden des Thukydides, Stuttgart: Steiner.

LONGO, O. (1983), “I discorsi tucididei: uditorio indiviso e scomposizione d’uditorio”, Museum criticum 18, 139-160.

LUSCHNAT, O. (1942), Die Feldherrnreden im Geschichtswerk des Thukydides, Leipzig: Dieterich.

MAZZUCCHI C.M. (1978), “Dagli anni di Basilio Parakimomenos (Cod. Ambr. B 119 sup.)”, Aevum 52, 267-316.

MÜLLER, K.K. (1882), Eine griechische Schrift über Seekrieg, Würzburg: Stuber.

NAVARRO ANTOLÍN, F. (2000), “La Retórica del discurso: la Cohortatio. Tradición clásica y pervivencia”, Cuadernos de filología clásica. Estudios latinos 19, 79-124.

NICOLAI, R. (1999), “Polibio interprete di Tucidide: la teoria dei discorsi”, Seminari romani di cultura greca 2.2, 281-301.

(2006), “Polibio e la memoria della parola: i discorsi diretti”, in R. Uglione (a c. di), Scrivere la storia nel mondo antico. Atti del Convegno Nazionale di Studi, Torino, 3-4 maggio 2004, Alessandria: Edizioni dell’Orso, pp. 75-107.

ΠΑΝΑΓΟΠΟΥΛΟΣ Α. (2006), “ Ἡ Τελευταία Παρακέλευση του Νικία (Θουκυδίδης, 7. 77) in Γ´ ∆ιεθνές Συµπόσιο για τον Θουκυδίδη. ∆ηµηγορίες. III International Symposium on Thucydides. The Speeches, Alimos: Sideres, pp. 150-155.

PRITCHETT, W.K. (1994), Essays in Greek History, Amsterdam: Gieben.

(2002), Ancient Greek Battle Speeches and a Palfrey, Amsterdam: Gieben.

RANCE, Ph. (2007), “The Date of the Military Compendium of Syrianus Magister (Formerly the Sixth-Century Anonymus Byzantinus)”, Byzantinische Zeitschrift 100, 701-737.

SACKS, K. (1981), Polybius on the Writing of History, Berkeley-Los Angeles-London: University of California Press.

(1986), “Rhetoric and Speeches in Hellenistic Historiography”, Athenaeum n.s.

64, 383-395.

SCARDINO, C. (2007), Gestaltung und Funktion der Reden bei Herodot und Thukydides, Berlin-New York: de Gruyter.

SOLMSEN, F. (1954), “The "Gift" of Speech in Homer and Hesiod”, Transactions of the American Philological Association 85, 1-15.

TARAGNA, A.M. (2000), Logoi historias. Discorsi e lettere nella prima storiografia retorica bizantina, Alessandria: Edizioni dell’Orso.

VATTUONE, R. (1978), Logoi e storia in Tucidide. Contributo allo studio della spedizione ateniese in Sicilia del 415 a.C., Bologna: Cleup.

VEGETTI, M. (1975), “Tucidide e la scienza della storia”, in L. Canfora (a c. di),

Erodoto, Tucidide, Senofonte. Letture critiche, Milano: Mursia, pp. 158-166. WEST, M.L. (2007), Indo-European Poetry and Myth, Oxford: University Press. WESTLAKE, H.D. (1968), Individuals in Thucydides, Cambridge: University Press.

ZUCKERMAN, C. (1990), “The Military Compendium of Syrianus Magister”, Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 40, 209-224.



[1] Isocr. 15.233. Sull’abilità oratoria di Temistocle cf. anche Hdt. 7.143, 8.59-63, 83, 109, Thuc. 1.93.3.

[2] FLEURY (2001: 118).

[3] µύθων τε ῥητῆρ' ἔµεναι πρηκτῆρά τε ἔργων (Il. 9.443).

[4] Il. 4.287.

[5] Il. 3.221-223, trad. R. Calzecchi Onesti.

[6] Il verso formulare che fa riferimento all’esito positivo dell’arringa compare, in Ringkomposition, in Il. 5.470 e 792, 6.72, 11.291, 13.155, 15.500, 514 e 667, 16.210 e 275.

[7] Cf. Xen. An. 3.1.36: εὖ τοίνυν ἐπίστασθε ὅτι µεῖς τοσοῦτοι ὄντες ὅσοι νῦν συνεληλύθατε µέγιστον ἔχετε καιρόν.

[8] Alessandro in Hdn. 6.3.3. L’incipit della demegoria è degno di attenzione, soprattutto per il riferimento a λόγοι συνήθεις, propri del periodo di pace, forse anche quelli di circostanza usati in occasione della proclamazione ad imperatore, là dove la difficoltà del contingente si profila in seguito al tentativo, andato a vuoto, di ricorrere alle vie della diplomazia e della persuasione (6.3.5).

[9] Jos. BJ 6.1.34-36. La considerazione scaturisce proprio dalla difficoltà, che preoccupa Tito, di scalare le mura dell’Antonia. Egli è fermamente convinto che la προθυµία dei combattenti possa essere stimolata dalle parole, che le esortazioni possano far dimenticare i pericoli o addirittura disprezzare anche la morte (Jos. BJ 6.1.33; cf. anche Xen. Cyr. 1.6.19: “un comandante deve riservare gli incitamenti ai momenti di più grande pericolo”).

[10] SOLMSEN (1954: 2).

[11] Sui motivi caratteristici dell’allocuzione protrettica vd., fra gli altri, ALBERTUS (1908: 24-25), KEITEL (1987: 154-160), con esempi tratti soprattutto dalla storiografia latina, PRITCHETT (1994: 96-98), NAVARRO ANTOLÍN (2000: 86), IGLESIAS ZOIDO (2007: 143-144).

[12] “Faremo bene a cominciare solennemente da Omero. Questi, infatti, […] ha fornito il modello e l’origine a tutti i generi dell’eloquenza. […] Infatti, a non parlare degli encomi, delle esortazioni, delle consolazioni, […] nessuno sarà così privo di senso artistico da non riconoscere che questo poeta ha trattato con assoluta padronanza gli affetti, gli uni, quelli miti, o gli altri, quelli veementi. […] E poi, le similitudini, le amplificazioni, gli esempi, gli episodi, le prove materiali e le prove razionali e gli altri espedienti per dimostrare e confutare sono così numerosi che anche gli scrittori di retorica ricercano in questo poeta moltissimi esempi di tal genere” (Quint. Inst. 10.1.46-51, trad. A. Milazzo); ma cf. anche Cic. Br. 40: neque enim iam Troicis temporibus tantum laudis in dicendo Ulixi tribuisset Homerus et Nestori, quorum alterum vim habere voluit, alterum suavitatem, nisi iam tum esset honos eloquentiae; neque ipse poeta hic tam ornatus in dicendo ac plane orator fuisset. Diverse furono le posizioni dei retori antichi circa i caratteri di τέχνη che avrebbe assunto l’oratoria omerica: cf. KENNEDY (1957).

[13] Nestore in Il. 8.139-144, Ettore a 8.173-176, Agamennone a 9.116-118.

[14] Agamennone in Il. 5.529-532.

[15] Agamennone in Il. 2.110-141, 9.17-28 e 14.65-81.

[16] Agamennone in Il. 4.370-400, Nestore a 7.123-160, Agamennone a 10.67-69.

[17] “Su, combattete contro le navi; e chi fra di voi ferito o colpito ha da trovare destino di morte, muoia; bello per lui, difendendo la patria, morire, e salva la sposa sarà e i figli in futuro e intatti i beni e la casa, quando gli Achei fuggiran con le navi alla terra paterna”: Ettore in Il. 15.494-499 (trad.

R. Calzecchi Onesti); ma anche Ettore a 12.245-246 e 17.220-232.

[18] Odisseo in Il. 2.248-249.

[19] Tideo nel rimprovero che Agamennone rivolge al figlio Diomede in Il. 4.376-400, Achille nelle parole di Era sotto le sembianze di Stentore a 5.787-791.

[20] Agamennone in Il. 8.289-291, Ettore a 10.303-312.

[21] Su tali esempi cf. WEST (2007: 477-479).

[22] “A chapter of Thucydides’ own memoirs – on «What I would have said if I had been in command at the time»”: HARDING (1973: 179); ma già JEBB (1880: 293-295) aveva esaminato i discorsi protrettici dell’opera di Tucidide secondo questo punto di vista.

[23] Plut. Glor. Athen. 347A. Opportunamente NICOLAI pone in rilievo la differenza rispetto alla pretesa scientificità invocata dagli storici moderni tramite il ricorso a cifre e statistiche: “molti storici moderni costruiscono con ogni mezzo un’illusione di scientificità nell’intento di rimuovere ogni traccia di intervento personale e soggettivo. Ma la scrittura della storia rimane, a dispetto di ogni sforzo, un’operazione soggettiva” (2006: 105).

[24] VEGETTI (1975: 160).

[25] È altamente probabile che Tucidide abbia ottenuto gran parte delle informazioni riguardanti Demostene da Demostene stesso, così come che egli sia stato in Sicilia e abbia tratto la dettagliata descrizione dell’assedio di Siracusa da testimoni di parte e siracusana e ateniese: GRUNDY (19482: 26- 27, 39-40, 505-506; 1948: 138-141); HAMMOND (1973: 52-53).

[26] CANFORA (1992: 381).

[27] Sulla consistenza dell’uditorio di Brasida cf. LONGO (1983: 148-149).

[28] Probabilmente, come nota WESTLAKE, Tucidide sintetizza due diversi momenti della vicenda: l’assemblea convocata per deliberare circa la condotta da adottare nei confronti dell’esercito ateniese, in cui ciascuno dei beotarchi espone il proprio punto di vista, e il discorso di incoraggiamento nel quale Pagonda riprende le argomentazioni utilizzate in assemblea (1968: 312).

[29] Circa la dinamica dell’azione, secondo HANSEN Pagonda schiera l’esercito e invita ciascun reparto a fare un passo in avanti, posare gli scudi e ritornare al proprio posto mentre egli passa al reparto successivo (2001: 113-114). Polemicamente rintuzzando le opinioni di Hansen, PRITCHETT ritiene che Pagonda chiami a parte ogni λχος per arringarlo, e questo sia per la diversa origine etnica sia anche per non essere ascoltato dagli altri beotarchi (1994: 56-59 e 2002: 42-45). Di “epipolesi capovolta” parla LONGO (1983: 152).

[30] Per gli elementi protrettici, e ‘aprotrettici’, dei due discorsi cf. le annotazioni di VATTUONE (1978: 45-102, 126-144, 153-181) e SCARDINO (2007: 526-531).

[31] “The best Byzantine military historian of any period of Byzantine history, early, middle, or late”: KAEGI (1990: 53).

[32] Cf. Proc. Pers. 1.1.3. Sulla descrizione degli eventi di cui Procopio ha avuto contezza diretta o fonti di prima mano vd. CAMERON (1985: 5-15, 134-137).

[33] Della conoscenza di precetti militari è prova il suggerimento che fornisce a Belisario, di fronte alla incapacità dei Romani di richiamare indietro i compagni: Procopio consiglia di utilizzare un duplice segnale, il corno della cavalleria deve indicare l’attacco, quello della fanteria la ritirata; la diversa conformazione dei due strumenti musicali renderà difficile la confusione. Il suggerimento è preceduto da una ‘lezione’ su come gli antichi distinguevano i due segnali (Proc. Goth. 6.23.23-28).

[34] Si veda il trattamento che Giustiniano riserva ad Isdiguna, inviato da Cosroe, al cui interprete concede l’onore inusuale di sedere alla mensa del sovrano e che congeda con doni cospicui (Proc. Pers. 2.28.40-44). Quanto poi al modo con cui Belisario accoglie un altro inviato di Cosroe, Abandane, di tale impatto emotivo da indurre l’ambasciatore a riferire di desistere da ogni proposito bellico contro un generale che in coraggio e in astuzia supera tutti e i cui soldati non sono da meno (Proc. Pers. 2.21.1-14), si può ben ritenere che l’espediente faccia parte dell’armamentario psicologico cui i generali più accorti ricorrono per destabilizzare il nemico (in particolare si può ricordare il precetto di intavolare trattative facendosi accompagnare dai soldati più prestanti e meglio armati presente in Onas. 10.14).

[35] Proc. Vand. 4.11.44: gli strateghi mauri rinvengono un motivo suasorio nella mutabilità della sorte, che non può sempre accompagnare i nemici, e nella assenza di Belisario, la cui ἀρετὴ στρατηγοῦντος era stata il motivo delle precedenti sconfitte.

[36] KAEGI (1983: 6) ben opportunamente legge nelle parole dei protagonisti dei Bella di Procopio i caratteri propri della strategia di Giustiniano. Evidentemente proprio lo spazio concesso alla figura di Belisario e le caratteristiche delle campagne che egli condusse, nelle quali oltre a scontri veri e propri un posto considerevole occupavano le attività strategiche e di negoziazione, indussero Giorgio Cedreno a riferirsi alle Guerre di Procopio in termini di τὰ τοῦ Βελισαρίου στρατηγήµατα (1. 649,1-2 Bekker).

[37] KAEGI (1990: 85).

[38] Suid. Lex. π 2479. L’imitazione di Tucidide si manifesta nella struttura, nelle descrizioni, nell’impianto metodologico, diventa scoperta nelle sententiae e Thucydide depromptae (analizzate in maniera comparativa nella dissertazione di BRAUN 1885).

[39] È il caso dell’esortazione di Mundila a Milano, in un momento terribile in cui gli assediati sono prostrati dalla carestia e dalla fame: egli propone una sortita nel campo nemico, con la quale o poter ottenere una fortuna superiore alle aspettative oppure andare incontro ad una morte eroica, che sarà ugualmente fortunata in quanto metterà fine alle tribolazioni presenti; i soldati, tuttavia, sceglieranno di arrendersi in massa alle condizioni dettate dal nemico (Goth. 6.21.30-38).

[40] Gli ambasciatori armeni, inviati da Cosroe per chiederne l’alleanza in nome dei comuni natali, rimproverano l’accordo che i Parti strinsero con i Romani, che “uno non sbaglierebbe a definire completa rovina” (Pers. 2.3.36).

[41] Ulteriori esempi sono presenti in altri luoghi dell’opera di Procopio. Per es. vd. Belisario in Vand. 4.1.13: per chi è abituato a vincere non c’è bisogno di incoraggiamento, in quanto il suo animo è alieno da ogni forma di timore; inoltre Solomone in Vand. 4.12.14.

[42] Dion. H. Pomp. 3.20, 5.6, Thuc. 34, Marcell. VThuc. 38 e 42, Phot. Bibl. 47,11a26. Tra i contributi dei moderni, per i discorsi protrettici in Tucidide costituiscono ancora un punto di riferimento LUSCHNAT 1942 e LEIMBACH 1985. Si veda, da ultimo, la sintesi critica in IGLESIAS ZOIDO (2007: 144-153).

[43] Come esempio di συµβουλευτικὸς λόγος o δηµηγορία Polibio riporta, traendolo come spunto polemico dalle Storie del Tauromenio, il discorso di Ermocrate agli abitanti di Gela e Camarina (25k.6- 7), di παρακλητικός il λγος di Timoleonte ai Greci per indurli allo scontro con i Cartaginesi (26a), di πρεσβευτικός quello di Pirro (si evince da 25k.2, dal momento che Pirro è citato accanto ad Ermocrate e Timoleonte, ma il discorso non è sopravvissuto nella tradizione polibiana). Per un comm. al luogo ed esempi di demegorie protrettiche nell’opera di Polibio: SACKS (1981: 79-95), NICOLAI (1999 e 2006: 75-105), TARAGNA (2000: 22-28). Il problema dell’identificazione e della conseguente appropriata denominazione non riguarda solo il mondo antico, se si considera che anche nella riflessione moderna si individua nel termine “protreptic” propriamente l’esortazione parenetica, che incoraggia piuttosto che persuadere, distinta invece dal discorso che lo stesso generale tiene ai soldati, ma non a fini protrettici, cui ci si riferisce con l’attributo “symbouleutic”: vd. in merito HANSEN (1993: 167).

[44] Dion. H. Pomp. 3.2. Circa i discorsi parenetici delle Storie erodotee, non vere e proprie arringhe, ma ‘rudimenti’ del genere, cf. BURGESS 1902 (198 e 211) e NAVARRO ANTOLÍN (2000: 84); ovvero caratterizzate da idee semplici e dirette, molto simili a quelle effettivamente pronunciate dai generali sul campo di battaglia: IGLESIAS ZOIDO (2008: 236-237)

[45] Dion. H. Thuc. 16. Nel cap. 17 riporta l’esempio del discorso ‘inopportuno’ di Cleone e Diodoto nella seconda assemblea di Mitilene (Thuc. 3.36-48), lamentando l’assenza di quelli della prima assemblea tenutasi ad Atene. In generale, sulla posizione di Dionigi cf. SACKS (1986: 386-392), GABBA (1996: 65-71), TARAGNA (2000: 33-40) e SCARDINO (2007: 4-5).

[46] Dion. H. Rh. 7.2 e 3: “Un discorso, infatti, si addice a tutte le circostanze e offre stimolo ad ogni impresa. Così i soldati, in guerra e in battaglia, hanno bisogno del discorso di esortazione da parte dei generali e, in tal modo, diventano persino più forti di loro. […] Come infatti anche nell’esercito, i più valorosi, dopo aver udito i discorsi dei generali, ambiscono al massimo grado alla vittoria, così anche coloro che partecipano agli agoni, se hanno accolto i discorsi di esortazione con animo ben disposto: essi, infatti, aneleranno alla vittoria con tutte le loro forze” (trad. A. Manieri). Più che “esortazione agli atleti”, tale discorso si configura in maniera più netta come “protrettico alla vittoria”, pertanto legittimato a trarre spunti ed elementi dalle arringhe militari: BURGESS (1902: 209-210), IGLESIAS ZOIDO (2007: 156-157).

[47] La parenesi del generale alle truppe è citata come esempio in Aristid. 27.42, Theon Prog. RhG

2. 115,15-17 Spengel, Lib. 12.1.5. Per questo motivo HANSEN ritiene l’arringa essenzialmente una “historiographic fiction” piuttosto che “a rhetorical fact” (1993: 164-165 e 2001: 96).

[48] Sulla parenesi in oratio obliqua di Nicia, in particolare sul significato da attribuire al suo ἀρχαιολογεῖν, vd. LATEINER (1985: 201-208), CAGNAZZI (1986), IGLESIAS ZOIDO (2000: 521-523), ΠΑΝΑΓΟΠΟΥΛΟΣ (2006), SCARDINO (2007: 634-636).

[49] Anonymi Byzantini Rhetorica militaris nunc primum edita, in: Index Lectionum in Literarum Universitate Turicensi, Turici, ex officina Zürcheri et Furreri 1855 e 1856. Una nuova edizione, con traduzione e commento, è in preparazione a cura della scrivente.

[50] Il titolo De re strategica (o Περὶ στρατηγικῆς), con cui lo scritto è vulgo noto, si deve ai primi editori, Hermann KÖCHLY e Wilhelm RÜSTOW, i quali anche suggerirono, come soluzione alternativa, Πολιτικῆς πρατικὸν µέρος (1855).

[51] MÜLLER (1882). Sulla composizione e le caratteristiche codicologiche dell’Ambrosianus B 119 sup. e il milieu politico e culturale che ne accompagnò la nascita vd. MAZZUCCHI (1978) e la ulteriore bibliografia segnalata in ERAMO (2007: 127, n. 1).

[52] DAIN (1937: 67 e 1943: 43-44).

[53] Sull’attribuzione dei tre scritti ad una medesima mano un punto di riferimento è dato dallo studio di ZUCKERMAN (1990). Circa la datazione dell’intero compendio, l’ipotesi accreditata fino a tempi recenti (VI sec. d.C.) è stata messa in discussione da una serie di interventi, da parte di BALDWIN (1988), LEE-SHEPARD (1991), COSENTINO (2000) e RANCE (2007). Per una sintesi della questione: ERAMO (2009 e 2010).

[54] βιβλία ἱστορικά, ἐξαιρέτως δὲ τὸν Πολύαινον καὶ τὸν Συριανόν (467, 8-9 REISKE = 106, 198-199 HALDON).

[55] Τακτικὰ ἤγουν στρατιγικὰ ᾿Αριανοῦ, Αἰλιανοῦ, Πέλοπος, Πολυαίνου, ᾿Ονοσάνδρου, ᾿Αλκιβιάδου, ᾿Αρταξέρξου, Συριανοῦ, ᾿Ανίβα, Πλουτάρχου, ᾿Αλεξάνδρου, ιοδώρου, ίωνος, Πολυβίου, ῾Ηρακλείτου, Μαυρικίου, Νικηφόρου καὶ ἄλλων τινῶν, συλλεγὲν παρὰ Νικηφόρου µαγίστρου τοῦ Οὐρανοῦ ἀπὸ πολλῶν ὡς εἴρηται ἱστορικῶν ἐν ἐπιµελείᾳ πολλῇ (DAIN 1937: 13, 94).

[56] Il corpus ermogeniano, formatosi intorno al V-VI sec. d.C., comprende il Περὶ τῶν στάσεων, il Περὶ ἰδεῶν, il Περὶ µεθόδου δεινότητος, i Προγυµνάσµατα e il Περὶ εὑρέσεως (questi ultimi considerati pseudoepigrafi già dagli antichi). L’enorme fortuna di questa raccolta in età bizantina (“tutti quanti hanno tra le mani la Τέχνη ῥητορική di Ermogene”: Suid. Lex. ε 3046) è testimoniata dal gran numero dei commentatori, i cui scholia e prolegomena sono leggibili nella raccolta di Walz, e le cui spesso prolisse parafrasi e interpretazioni furono considerate corollari ineludibili all’opera del Maestro: Troilo (III d.C.), Siriano (metà V sec.), Sopatre (prima metà VI sec.) e Marcellino (VI), Dossopatre (prima metà XI sec.), Gregorio di Corinto e Massimo Planude (XIII sec.), Matteo Cammariota (XV sec.), oltre ad uno stuolo di commentatori anonimi.

[57] Rhet. mil. 3.2; 25.2. Sulle fonti del compendio, la loro elaborazione e le modalità di citazione e richiamo rimando a ERAMO (2008).

[58] “Noi invece [...] non elaboreremo argomenti contrari – come, infatti, sarebbe possibile? – ma esorteremo soltanto alla guerra, che è una delle due parti della questione relativa a pace e guerra; perciò abbiamo tralasciato di dire qualcosa anche della confutazione” (Rhet. mil. 3.3).

[59] Hermog. Inv. 3.2: “esiste un altro tipo di prefazione, inventata dagli antichi, che non preannuncia argomenti, ma fornisce dimostrazioni sul fatto che la causa appaia essere trattata conformemente alle leggi. Ben opportunamente è chiamata ‘prefazione’, dal momento che si tratta di parole pronunciate prima degli argomenti, che con ragionamenti loro propri evocano tutta quanta l’argomentazione”. Per rendere più chiara la definizione, lo Ps.-Ermogene cita l’esempio di Dem. XXI,9, in cui viene enunciata l’articolazione della legge che disciplina la presentazione di denunce preliminari. Sulla ripresa cum variatione di questo luogo vd. già ZUCKERMAN (1990: 220, n. 32).

[60] “Faremo questo non solo attraverso un’esposizione didascalica, ma anche in modo pratico e quindi anche attraverso esempi, sia per chiarezza sia anche per abbondanza di elementi simili; i motivi dei discorsi, infatti, offrono ricchezza di argomenti a quanti intendono elaborare discorsi in maniera simile” (Rhet. mil. 8.1).

[61] Sull’opportunità che il comandante adegui il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze acquisite alle circostanze del momento vd. già Thuc. 1.138.3; Xen. Hipp. 9.1; Mem. 3.1.6. Alla base opera il convincimento secondo cui in guerra non è sempre possibile prevedere il futuro o disporre di piani precostituiti validi per ogni occasione (Onas. 21.4). Il principio verrà ripreso, tra le altre, nelle allocuzioni protrettiche di Solomone (Proc. Vand. 4.20.6) e Totila (Goth. 8.30.14).

[62] La capacità di prevenire le mosse del nemico, cogliendolo impreparato e perciò indifeso, è abilità propria di strateghi quali Brasida (Thuc. 2.93 per Megara e 5.9 per Amfipoli) e Demostene (3.112.2-4 per la campagna in Ambracia, 4.32.1-2 per Sfacteria). Invano caldeggia l’opportunità di un attacco a sorpresa Teutiaplo a Mitilene, richiamando il motivo del τὸ κενὸν τοῦ πολέµου, ‘vuoto’ che un generale deve evitare, ma saper cogliere nel nemico per riscuotere possibilità di successo (3.30.2-4).

[63] Nel sistema di valori che informa l’ordinamento della falange, la εὐταξία è garanzia di salvezza, come la ἀταξία di disgrazia (Xen. An. 3.1.38). Significativo appare anche, in un contesto pre- falangitico, il monito che Nestore rivolge ai cavalieri in Il. 4.303-305: nessuno, pur fidando nella propria forza o nelle capacità del proprio destriero, combatta solo e davanti agli altri, nessuno retroceda, perché così facendo sconvolgerebbe l’assetto delle truppe e voterebbe tutto l’esercito alla disfatta.

[64] Sulla necessità di punire chi commette ingiustizie ruota l’esortazione che Mardonio rivolge a Serse in occasione della seconda spedizione in Grecia (Hdt. 7.5), come anche il discorso con cui Stenelaida cerca di convincere l’assemblea lacedemone a votare la guerra contro gli Ateniesi (Thuc. 1.86). Il principio secondo cui la giustizia è virtù propria non solo di chi non commette malefatte, ma anche di quanti sentono il dovere di difendere gli altri dalle ingiustizie perpetrate dagli avversari è presente nel discorso degli ambasciatori dei Lazi ai Persiani in Proc. Pers. 2.15.20.

[65] La difesa e la custodia dei propri beni o familiari è motivo insistente nell’ambito protrettico: si vedano le parole di incoraggiamento di Trasibulo (Xen. Hell. 2.4.17) o di Lucio Emilio Paolo prima di Canne (Polyb. 3.109.7) o di Gubaze (Proc. Goth. 8.8.8-9). Chi tuttavia ben conosce lo stato d’animo delle truppe prima dello scontro sa bene che non sempre la difesa del proprio rianima, al contrario l’attaccamento eccessivo a quanto appartiene o è caro infiacchisce le forze e priva della necessaria lucidità (Belisario in Proc. Vand. 4.1.25).

[66] Nel fornire consigli sul comando al figlio Ciro, Cambise teorizza che non si può pretendere obbedienza dai soldati se non si ha cura delle loro sorti, perciò il generale deve trascorrere le notti a pianificare le attività diurne, di giorno adoprarsi a che i soldati trascorrano al meglio le ore notturne (Xen. Cyr. 1.6.42). In questa maniera si dimostra come ogni decisione, anche quella più gravosa e infelice, sia volta al beneficio dell’intero esercito (Xen. Hell. 5.1.14-15, Mem. 3.1.11), magari illustrando quali vantaggi i soldati possano ottenere se sono obbedienti, quali pene sono invece riservate agli indisciplinati (Xen. Hipp. 1.24).

[67] Secondo la tradizione polemologica, sia maturata sul campo che elaborata e codificata nella manualistica di genere, la guerra necessita, come tutte le attività pratiche che si configurano come τέχνη (per es. la scultura e la musica: Xen. Mem. 1.2.9, 3.1.4 e 3.12), di una fase di apprendimento e di θεωρία prima, di µελέτη poi. Per questo anche in tempo di pace è opportuno dedicare particolare attenzione all’addestramento: il generale dovrà distribuire le armi e schierare i fanti in tutte le formazioni possibili, insegnare loro le singole manovre, in modo che i soldati diventino esperti e non si confondano, farli combattere com armi finte, organizzare scontri simulati e scaramucce per la cavalleria (Onas. 10.1-6). È quindi opportuno mettere le reclute in condizione di maneggiare armi, colpire bersagli, scavare fossati, schivare colpi, montare a cavallo, trasportare pesi (Veg. 1.4.5-9, 8.6, 9-19 etc.). Ben evidenziarono il valore dell’esercizio in guerra le attività poste in essere da comandanti quali Scipione (che elaborò un vero e proprio programma di addestramento: Polyb. 10.20; Frontin. Strat. 4.1.1; Veg. 3.10.20) o Cesare (che imponeva a sorpresa esercitazioni estenuanti: Svet. Jul. 65) e le campagne che avevano assicurato ai Romani la superiorità militare rispetto ad avversari non abituati alle fatiche di guerra e non debitamente esercitati (come gli insorti in Giudea: Jos. BJ 3.2.13-15).

[68] La morte in guerra assimilata alla migliore delle vite, in quanto alternativa alla gloria della vittoria piuttosto che al disonore rappresentato dalla fuga, costituisce argomento protrettico di sicura presa emotiva. Lo utilizzano Senofonte dopo Cunassa (Xen. An. 3.1.43), Annibale al Ticino (Polyb. 3.62-63), Lucio Emilio Paolo a Canne (3.109.8) e Scipione a Zama (15.10.3-7).

[69] Polibio rivolge a Timeo l’accusa di aver riportato l’allocuzione di Timoleonte ai Greci prima della battaglia contro i Cartaginesi utilizzando un argomento, l’inferiorità numerica dei soldati, infarcito da una serie di elementi di corredo – il proverbio circa la presenza dei deserti in Libia o il riferimento all’abbigliamento del nemico – più confacenti agli studenti delle scuole di retorica che a generali in procinto di scendere in campo contro il nemico (12.26a.1-4; il senso polemico del luogo è chiarito da 12.26.9).

[70] NICOLAI (2006: 85).

[71] BONNOT (1783: 397-398).