BERNARDO BALLESTEROS PETRELLA
(Scuola Normale Superiore
di Pisa)
NESTORE ORATORE NELL’ ILIADE: STRATEGIE DEL NARRATORE, POSIZIONI DEL PERSONAGGIO[*]
The Oratory of Nestor
in the Iliad: Narrator’s Strategies
and Character’s Positions
ABSTRACT: Nestor’s authority and rhetorical skills, praised
by the narrator, play an important role in the debate concerning Agamemnon’s authority.
The speeches pronounced in the army’s assemblies of Il.1 and 9 make it possible to observe Nestor’s position about this
political problem. It remains constant in content as in the use of specific rhetorical
means. Nestor shows an idea of authority antithetical to the personal use of power
made by Agamemnon, looking for a communitarian action both in terms of decision-making
procedures and goals.
KEY WORDS: Agamemnon, authority,
heroic code, oratory, Iliad, Nestor, politics.
SINTESI: L’autorità e l’abilità oratoria
di Nestore, lodate dal narratore, lo rendono protagonista nel dibattito sull’autorità
di Agamennone. Nel contesto dei discorsi pronunciati in assemblea nel I e nel IX
libro dell’Iliade è possibile seguire
la posizione di Nestore rispetto a tale questione politica. Essa rimane costante
tanto nei contenuti quanto nel ricorso a precisi stilemi oratori, i quali sembrano
veicolare istanze d’autorità originali nella loro opposizione all’uso arbitrario
del potere da parte di Agamennone, così come nel ruolo fondante attribuito ad
una azione che sia comunitaria a livello decisionale e d’interesse.
PAROLE CHIAVE: Agamennone, autorità, statuto eroico, oratoria, Iliade, Nestore, politica.
Fecha de Recepción: 30 de Abril de 2012.
Fecha
de Aceptación: 17 de septiembre de 2012.
Introduzione
IL PRESENTE LAVORO si pone come punto
d’incontro di tre diverse linee di discorso che è possibile rintracciare nell’Iliade, e delle tre strade
d’indagine critica che ad esse corrispondono. Si tratta della caratterizzazione
dei singoli personaggi dell’epica da un lato, della problematizzazione politica
dall’altro; punto di raccordo tra queste due tematiche vengono ad essere i discorsi
diretti dei personaggi stessi, che occupano gran parte della mole del poema e che
tanta parte hanno nella sua specificità poetica e nella sua complessità narratologica.1 Tra le vie critiche di approccio ai discorsi,
quella che occuperà queste pagine prende il nome di oratoria. È una via indicata
dal poema stesso, poiché l’oratoria è nell’Iliade specificamente tematizzata, utilizzata con
risvolti drammatici per la trama, fondamentale per la definizione del carattere
eroico.[2]
La strada dell’oratoria sembra quella più adatta a percorrere
i temi politici nell’Iliade, volendo mantenere un approccio letterario;
non distogliendo cioè mai l’attenzione dalle ragioni specifiche del testo in vista
della drammatizzazione e della mimesis. In questo senso sono fondamentali gli studi
sulla caratterizzazione dei personaggi,[3] i quali tentano
di rintracciare linee d’evoluzione e problematizzazione, osservando il modo di porsi
dei singoli di fronte alle diverse situazioni narrate, ormai consapevoli che i movimenti
degli eroi dell’Iliade non sono totalmente convenzionali né rispondono
a modi di pensiero che non lasciano spazio all’individualità; se sono ristretti
e condotti, lo sono da parte del disegno del narratore.
La scelta di Nestore come protagonista per questo tipo d’indagine
può apparire ovvia a chi abbia anche solo maneggiato il poema, ma merita qui qualche
parola. Il figlio di Neleo è il campione dell’oratoria nell’Iliade.[4] Nella sua
veneranda età, non può in grado di combattere come un tempo, presta agli Achei i
suoi servigi come consigliere; sua è sempre l’opinione più autorevole, quasi sempre
seguita. Sue sono le digressioni mitiche più lunghe del poema; Nestore è l’unico
che osa tentare di mettersi fra Achille e Agamennone durante la contesa nel primo
libro, egli propone la costruzione del baluardo acheo nel settimo, egli mette in
moto l’ambasceria del nono, grazie al suo discorso nell’undicesimo Patroclo vestirà
le armi di Achille. Questo quanto alla trama. Quanto alla capacità oratoria, l’introduzione
che il narratore porge di questo personaggio in Il. 1.247-53, presentando il suo primo discorso,
è unica per estensione ed implicazioni.[5] In effetti
queste parole del poeta sul suo personaggio consentono di dare avvio ad un’indagine
che cerchi nell’oratoria di Nestore chiavi d’interpretazione di carattere generalizzante
per le problematiche etico-politiche diffuse nel poema. È un tentativo d’indagine
che si sostanzia peraltro del ruolo svolto dal vecchio di Pilo nei contesti politico-oratori.
L’analisi delle modalità retorico-stilistiche nei discorsi
tenuti da Nestore nelle assemblee e nei consigli del primo e del nono libro porterà
ad individuare degli stilemi costanti, modi d’espressione che veicolano analoghe
istanze sulla questione politica della messa in crisi dell’autorità di Agamennone.
Si vedrà che queste istanze possono essere viste quali veri e propri momenti di
riflessione e concettualizzazione delle problematiche comunitarie, volti, nel contesto
dell’azione drammatica, ad un tentativo di risoluzione per mezzo di proposte aventi
quella stessa ideologia formalizzata come base.
Premessa
Nel corso della prima metà del poema la figura di Nestore
si fa portatrice, nella sua funzione espressiva di valori e idee di ordine etico-politico,
di due direttive fondamentali, che appaiono in qualche modo mitigarsi e completarsi
a vicenda nella direzione del mantenimento dell’ordine, necessario al proseguimento
della comune impresa bellica da parte della compagine achea. Esse sono rappresentate,
se si vuol guardare direttamente al risultato auspicato, da una parte dal tentativo
di confermare l’autorità di Agamennone, dall’altra da quello di far sì che Achille
rientri a far parte attiva nell’esercito. Alla messa in crisi della compagine Achea,
originata dalla lite tra Achille e Agamennone e causa scatenante per l’azione del
poema, rispondono quindi le due posizioni che sostanziano l’atto politico delle
orazioni di Nestore. La contesa ha infatti minato l’autorità del capo della spedizione,
e allo stesso tempo privato l’esercito del suo più grande baluardo. Ma, sia a livello
espressivo che contestuale, si vedrà come queste due istanze si pongono di fatto
ad un livello di notevole astrazione, e solo nel corso della prima rhesis (Il. 1.254-284), esse
vengono indirizzate direttamente ai due protagonisti - poiché ad essi il discorso
stesso si rivolge, ma sempre come conseguenze negli effetti di uno stato normativo
di cose definito di per sé. Si vedrà che questa tendenza all’astrazione è determinata
dalla natura fortemente gnomica della parola di Nestore. Se quindi è legittimo considerare
come fine delle due direttive la permanenza di Achille e il mantenimento dell’autorità
di Agamennone, dai dati testuali sembrano emergerne con più forza i tratti sostanziali:
la conservazione dell’autorità unica in vista del fine comune, e il mantenimento
di una concordia, basata sul riconoscimento del ruolo altrui, tra coloro che questo
stesso fine si sono impegnati a perseguire.
La costante presenza di queste direttive negli interventi
del vecchio di Pilo può immaginarsi come un’escrescenza del flusso di un più ampio
discorso condotto con diversi mezzi nello sviluppo dell’epica, canto dopo canto.
Si tratta di un ampio spettro di modalità che corrisponde alle molte occasioni dove
accade di incontrare nell'Iliade una drammatizzazione problematica dei temi
etico-politici presenti nel poema. Limitandosi al lato umano ed escludendo le parallele
discussioni olimpiche, si va dalle macro-sezioni narrative, quali i racconti della
contesa nel libro primo, della gravissima questione d’autorità nell’esercito che
è la peira in Il. 2,[6] del tentativo
fallito di piegare Achille in Il. 9 o della riconciliazione di questi con Agamennone
in Il. 19; a sezioni d'ampiezza
più limitata ma di pari importanza quali sono le diverse occasioni di 'consiglio/discussione'
che si svolgono da ambo le parti, spesso in una situazione di precisa corrispondenza
(cfr., per parte achea, Il. 7. 316-344, 10.194-254, 14.27-134; per parte troiana
Il. 7.345-379, 8.489-541, 10.299-331,
13.725-753, 17.140-187, 18.243-313); fino ad episodi più circoscritti e spesso tra
loro collegati da precisi richiami testuali, quale ad esempio è il caso della discussione
sul valore di Diomede, un tema che, dal suo rimprovero da parte di Agamennone nella
rassegna in 4.364 ss., recuperato (dopo le imprese dell'eroe in Il. 5 e 8) durante
l’assemblea in 9.32 ss., si sviluppa nella scelta del Tidide d'incaricarsi dell'impresa
notturna in 10.220 ss., fino alla sanzione definitiva del suo valore buleutico in
14.110 ss.[7] Questa sommaria
rassegna quantitativa non rende certo giustizia ad un tema tra i più spinosi per
la critica omerica. Conviene ora soffermarsi su cosa possa definirsi 'politica'
nell'Iliade.
Per lungo tempo lo studio di questa linea di discorso omerica
è stato fortemente limitato da alcuni approcci critici fortemente radicati, facenti
capo in definitiva ad importanti aspetti del sostrato culturale degli studiosi novecenteschi.[8] Questi approcci
hanno avuto come riferimento da un lato una concezione limitante della possibilità
caratteriali dei personaggi omerici, in riferimento ai loro valori e alla loro etica,
dall'altro una prassi piuttosto rigida nel tentativo di definire qualitativamente
le relazioni tra questi stessi personaggi quando essi mostrano di discutere temi
che li riguardano a livello comunitario. Al di là della perniciosa influenza del
primo aspetto sul secondo, si può notare come in sostanza l'abbaglio metodico si
trovi nell'approccio evoluzionistico, e in ultima analisi positivista: si guarda
ai personaggi omerici come momenti arcaici di uno sviluppo che porterà alla personalità
completa e autocosciente, e si vuole rintracciare questa evoluzione già all'interno
del mondo greco, nello spazio di un paio di secoli;[9] si guarda
alla 'società omerica' come se dovesse essere specchio di uno stadio storico in
evoluzione, che porterà alla formazione della polis.[10] Si tratta
di tentativi di interpretazione che hanno interesse a collocare il dato omerico
in un sistema diacronico di storia del pensiero e di storia delle istituzioni, tenendo
come punto focale dati posteriori identificati come momenti d'arrivo. E' questa
una teleologia che, pur discutibile, trova legittimità in un contesto di studi storici,
ma va incontro a gravi problematiche quando si voglia invece utilizzarla per lo
studio esegetico dei fenomeni letterari. Essa si risolve infatti nell'applicazione
sistematica di modelli psicologici, storico-politici o antropologici che, se possono
rivelarsi utili strumenti ancillari da valutare di volta in volta per l'interpretazione
dei dati dell'opera, troppo spesso finiscono per sovrapporsi alle ragioni interne
del testo, portando a visioni parziali che si pretendono totali, se non ad arenarsi
nelle aporie di un dogmatico scetticismo.[11] E’ stata
l’applicazione rigida di criteri fondamentalmente estrinseci che ha pregiudicato
nell’esegesi degli studi omerici la comprensione di questi fenomeni come facenti
parte dell’unico sistema realmente verificabile come rispondente a se stesso: quello
letterario. In questo senso negli ultimi tre decenni si sono compiuti dei notevoli
passi in avanti, da una parte e dall’altra. Per quanto riguarda la caratterizzazione
degli eroi omerici,[12] un forte
contributo è venuto proprio dalla rivalutazione di uno studio dei poemi come fatto
letterario. La chiave principale di questa tendenza sta nell’attenzione ad un fenomeno
sul quale si erano già soffermate le trattazioni platoniche ed aristoteliche.[13] L’alternarsi
nei poemi delle parole del narratore e degli interventi diretti dei personaggi mostra
una proporzione significativa: nell’Iliade poco meno della metà dei versi è costituita
dalle parole dei protagonisti.[14] Le implicazioni
di questo dato sono di grande peso a livello narrativo, poiché esso viene a costituire
in qualche modo l’impalcatura della vitalità del racconto.[15] L’analisi
paziente delle varietà nelle lexeis che si dispiegano di personaggio in
personaggio,[16]
di occasione in occasione, consente al lettore di entrare nei meccanismi di costruzione
dell’azione epica in tutta la loro varietà e duttilità, ad un’ampia gamma di livelli:
le interazioni tra i personaggi, le loro reazioni ed evoluzioni a seguito degli
eventi, così come i legami significativi istituiti dal narratore tra parti diverse
del poema possono essere mostrate nelle loro implicazioni per un’esegesi che voglia
tener conto delle tracce lasciate dal narratore stesso nella composizione.[17] La dimensione
d’oralità nella quale avveniva la fruizione dell’opera ha fatto spesso tenere
ancora in conto una nozione di performance dell’epica, un fattore che doveva essere
discriminante per quanto riguarda l’accento posto sulle parole dei personaggi: si
tratta di un raffinamento d’impostazione che consente di volgere la giusta attenzione
all’incidenza drammatica dei fattori stilistici.[18] Lo studio
narratologico, inoltre, ha consentito di innovare e precisare gli strumenti critici
d’avvicinamento a questi aspetti, mettendo in luce complessità e polifunzionalità
della maniera omerica di tenere le fila del racconto in funzione della mimesis.[19]
È chiaro che lo studio dei discorsi nell’Iliade comporta un ampliarsi
delle prospettive critiche e l’apertura di molte strade d’indagine. Oltre alla via
di più immediata evidenza, quella cioè che voglia approfondire il dispiegarsi del
carattere del singolo personaggio nel corso del racconto, appare molto
interessante un tentativo di ricerca per così dire tematico. L’attenzione alla parola
degli eroi dell’epica ha stimolato, come di riflesso, un’attenzione al fatto retorico-stilistico.
Il passo successivo è costituito dal prendere atto delle molte occasioni nelle quali
nei poemi stessi si discute in termini qualitativi dell’atto oratorio e di esso
si fa questione, sia da parte del narratore che da parte dei personaggi.[20] Se poi è
vero che la presenza dinamica di questa tematica va posta in termini di coscienza
letteraria, allora bisognerà ammettere il ruolo che essa può giocare a tre livelli
fondamentali, strettamente connessi.
Il primo è quello della poetica, intesa appunto come atto
del riflettere sulla propria opera da parte dell’autore: un atto supportato a fortiori sia dall’oggettivo
ruolo di primo piano tenuto dall’importanza dei discorsi dei personaggi per la natura
dei poemi, sia dall’importanza che Aristotele attribuiva proprio a questo carattere
dell’epica omerica quale tratto distintivo e in definitiva determinante la sua superiore
qualità.[21]
Il secondo livello comporta una revisione del cosiddetto statuto eroico: l’abilità
con la parola, la cui consacrazione si svolge nel contesto assembleare, accompagna
l’abilità guerriera in uno stretto binomio dalle importanti conseguenze a livello
etico. Così come viene posta la questione nell’epica, l’abilità oratoria riconosciuta
è l’espressione di un sapere che tiene conto dell’interesse comune, e allo stesso
tempo il momento oratorio si configura, nella tensione drammatica, come momento
di prova del valore di un personaggio. Di qui il terzo livello, che si muove su
di un piano più ampio: l’importanza dell’oratoria per la determinazione delle qualità
dei personaggi e per il giudizio sul loro operato tanto da parte degli altri protagonisti
quanto, nella prospettiva dell’azione del poema, da parte dell’uditorio, consente
di rinvenire, seguendo i passi del poema in cui si dà risalto a questi momenti,
dei percorsi di problematizzazione sull’agire dei diversi personaggi, in quanto
singoli e in relazione agli altri. Si tratta di percorsi tracciati dal narratore
come segmenti all’interno del più grande disegno del poema, e in quanto tali carichi
di una valenza significativa non solo rispetto alla maniera compositiva, ma anche
quanto alle idealità veicolate, possibili chiavi d’interpretazione di nodi importanti
per la totalità del poema stesso.
Sebbene sia quasi esclusivamente in un contesto ‘oratorio’
che si dispiegano nell’Iliade le interazioni problematiche tra i personaggi
a proposito delle tematiche che riguardano l’agire comune, non solo a livello militare,
è forse questo il tema iliadico che meno ha fatto propri nella critica i benefici
influssi di un approccio intratestuale che tenesse adeguatamente conto dell’importanza
trasversale dei discorsi in quanto veicoli di istanze in rapporto dinamico rispetto
al contenuto del poema. Questo probabilmente si deve al peso che qualsiasi interpretazione
della politica nell’Iliade recherebbe con sé in rapporto al problematico
processo evolutivo delle istituzioni politiche nella antica Grecia storica, come
poco sopra si è discusso.
In ogni caso, un contributo importante e un ottimo punto di
partenza per studiare questo fenomeno è rappresentato dalla recente opera di D.
Hammer.[22] Lo studioso
americano prende metodicamente le distanze dai precedenti tentativi di guardare
alla ‘politica’ nell’Iliade da un punto di vista strutturale; non bisognerà
più tentare di individuare ‘strutture’ e ‘funzioni’ di un sistema fisso a cui fare
riferimento, per poi negare che vi sia reale azione politica sulla base dell’assenza
di queste; piuttosto converrà partire dal dato di fatto che nel poema i momenti
di aggregazione e di discussione dei nodi concernenti il reciproco rapportarsi e
l’agire comune sono costanti e di diverso tipo, più o meno comprensivi, più o meno
determinanti rispetto alla trama del poema, più o meno inclusi in un qualche tipo
di ritualità che ne sancisca la valenza ufficiale.[23]
Nonostante i pregevoli risultati dell’indagine perseguita
su queste basi, rimane comunque in questo studio una certa tendenza all’astrazione
rispetto alle linee interne al poema, oltre che una pervasività dell’elemento politico
portata talvolta troppo avanti, a discapito di altre tematiche.[24] Ma quel
che soprattutto sembra vada integrato in questa prospettiva è proprio un’attenzione
alla parola dei personaggi come momento fondante e determinante l’atto politico;
per una comprensione più profonda delle dinamiche politiche e delle idealità che
ad esse sottendono nel disegno del narratore, è infatti necessario tener presente
il valore che a più riprese nel corso del poema viene attribuita alla capacità oratoria
di per sé. Questa attribuzione di valore porta nella direzione di una forte differenziazione
stilistica e tipologica dei discorsi in base al carattere dell’oratore e al momento
drammatico: un dato prezioso per cogliere lo specifico di ogni momento politico,
in sé e in relazione ad altri episodi connessi, quando non al complesso del poema.
Posizioni d’autorità, posizioni di concordia
Per illustrare forma, valore e implicazioni delle due direttive
dei discorsi di Nestore alle quali si accennava, verranno inizialmente presi in
considerazione i discorsi tenuti in assemblea nel primo e nel nono libro del poema.[25] Si tratta
di due situazioni analoghe per più versi. In entrambi i casi Nestore svolge una
funzione mediatrice tra due posizioni inconciliabili,[26] intervenendo
dopo due rheseis
fra loro contrapposte, dalle quali sostanzialmente emerge la posizione del problema
dell’autorità di Agamennone. Di entrambi i discorsi il destinatario ultimo è proprio
l’Atride, e in entrambi si vede bene come la volontà di confermarne il ruolo egemonico
si accompagni ad un tentativo di mostrarne gli errori per correggerne in qualche
modo la linea di condotta.
Dopo aver considerato le implicazioni ideologiche e politiche
che emergono dalle due situazioni a proposito del problema d’autorità che coinvolge
Agamennone, mi concentrerò sulla funzione che le modalità gnomiche assolvono nella
strutturazione di questi discorsi di Nestore a livello retorico. Si vedrà che esse
possono utilizzarsi come chiavi d’interpretazione, per noi, delle scene stesse e
dell’agire dei personaggi; ma che si configurano allo stesso tempo come momenti
di riflessione interni al poema sulle medesime importanti tematiche politiche che
sottendono trama e ideologia.
In Il. 1.254-283 Nestore pronuncia un’orazione che spesso è
stata vista come esemplare per equilibrio e da molti è stata ammirata per la sua
sofisticata struttura formale.[27] La presentazione
del vecchio oratore che la precede, indirizzata com’è a sottolinearne la qualità
e la piacevolezza della parola, evidenzia da parte del narratore una certa volontà
programmatica di mettere in luce, alla sua prima apparizione, l’abilità di colui
che a più riprese nell’Iliade sarà riconosciuto come il maestro della parola
in consiglio.[28]
Un’abilità richiesta peraltro dall’estrema delicatezza della situazione. Achille
ha infatti appena gettato a terra lo scettro, simbolo del potere e dell’autorità
regale (nonché strumento che accomuna i re, scettrati appunto, e ne sancisce il momento
di confronto),[29]
accompagnando questo gesto con un discorso volto a comunicare all’assemblea come
per lui l’autorità e il complesso di valori di tipo politico di cui lo scettro è
simbolo siano decaduti:[30] l’oltraggio
subito denota da parte di Agamennone il mancato rispetto di quella dinamica politica
che lo scettro sancisce[31] (questo
il senso dell’eziologia presente nel discorso di Achille, segnata però da un andamento
precipitoso che ben si adatta allo stato d’animo del personaggio). La reazione di
Agamennone (dall’altra parte smaniava l’Atride),[32] espressa
con un solo verbo ma resa dinamica dalla fulminea nota spaziale dell’avverbio, si
pone lessicalmente nel campo della stessa ira di Achille. La contrapposizione è,
da un punto di vista politico,[33] al culmine.
Non appare dunque casuale il momento dell’entrata in scena di Nestore, né la natura
della sua presentazione. Il discorso del personaggio, la cui veneranda età è garanzia
di sapienza politica, ruota tutto intorno ad un punto di vista che pone al centro
del suo interesse il bene della comunità.
La struttura di questo discorso ha attratto l’interesse di
numerosi studiosi, i quali sono concordi nell’indicarne la composizione circolare
(Ringkomposition).[34] L’apostrofe
ai contendenti, in due parti, è infatti intervallata dalla digressione paradigmatica
(1. 260-73) sul passato mitico di Nestore.[35] Se quest’ultima
veicola per analogia istanze politiche, è però anzitutto un espediente che esalta
l’autorità dell’oratore stesso. Troviamo quindi le posizioni politiche espresse
in maniera più esplicita nelle apostrofi vere e proprie. Cerchiamo di analizzarle
nel dettaglio.
L’esordio si costituisce sul compianto patetico, simile per
più aspetti a quello che si trova nella rhesis di 7. 124-160;[36] esso fa
leva sul sentimento di vergogna, da suscitarsi con un ampiamento della prospettiva
sulla contesa, tale da andare oltre quella individuale dei due protagonisti per
prendere in considerazione le conseguenze che il loro comportamento avrebbe per
l’esercito intero - si noti la personificazione iperbolica, ipotizzando una reazione
gioiosa e quasi divertita da parte troiana.[37] Raffinati
fattori stilistici evidenziano nelle parole di Nestore da un lato questa volontà
di allargare la prospettiva nella direzione dell’interesse generale (a questo volgono
le α in ictu di 1. 254), dall’altra
quella di mostrare come i ruoli dei due contendenti si completino tra loro come
parte di una stessa unità.
Una coppia di esametri come 1. 257-58 (se tanto sapessero che
voi due contendete, / voi che siete i primi dei Danai per consiglio e in battaglia),[38] è significativa
in questo senso. L’elemento fondamentale da considerare è il prezioso ordo verborum. In 1. 257 pronome
e verbo incorniciano il verso, espressionisticamente indicando la divisione,[39] aggravata
dalla parola pesante in fine verso, nonché dalla scelta reiterata di lunghi vocalismi
in iato (-ῶϊ-, -οία-, -οιϊ-) e dalle allitterazioni,
prima della serie dentale- labiale (τάδε πάντα πυθοίατο), poi delle nasali
nel verbo finale. In 1. 258 si trova in una certa misura una prima ricomposizione
del conflitto, basata su una definizione di ruoli. Il tipico concetto iliadico che
vede l’attività buleutica e quella guerriera come due facce dell’eroismo trova qui
la sua prima formulazione.[40] L’ambiguità
dei termini di questa divisione è funzionale alle intenzioni dell’oratore. Ad intendere
la preminenza nella facoltà decisionale come attribuita ad Agamennone, ad Achille
in quella guerriera, si avrebbe un primo tentativo di conferma dell’autorità poilitica
dell’Atride e una costatazione dell’importanza fondamentale del Pelide, simile a
quella espressa più avanti nella seconda apostrofe. D’altro canto asserire che entrambi
condividono l’eccellenza nelle prerogative eroiche fondamentali volgerebbe ancora
a sottolineare la gravità di un conflitto tra i membri piú notevoli dell’esercito.
In ogni caso la struttura del verso, tramite la posizione centrale in cesura del
sostantivo indicante la comunità, la funzione distributiva del περὶ e l’evidenziazione
delle facoltà eroiche tramite cesura e posizione in fine verso, è base per un’esaltazione
della concordia, e lo rende un esametro carico di forza.[41]
Nella terza parte del discorso, che ne costituisce la perorazione
(1. 275-84),[42]
Nestore può rivolgere ai principi Achei i suoi consigli, dopo aver affermato la
propria autorità di consigliere con la digressione paradigmatica precedente. Questi
consigli si configurano, significativamente, in modo diverso per l’uno e per l’altro:
se ad Achille (1. 77-78) rivolge un rimprovero di carattere generale, riferito a
un atteggiamento, a un certo modo di porsi di fronte al detentore del potere regale
che egli ha manifestato e che deve cessare, ad Agamennone, invece (1. 75-76), chiede
di correggere non un comportamento, ma una atto ben preciso da lui compiuto, qualificato
come errato, indicato come tale perché in contrasto con un precedente atto della
comunità e pertanto fuori dalle sue prerogative regali.[43] È chiaro
perció che questi due consigli non hanno lo stesso peso, ed è chiaro che, nonostante
la reazione di Achille sia giudicata negativamente, la ragione è nelle parole di
Nestore dalla parte del Pelide, poiché è all’Atride che viene chiesto di fare un
passo indietro.
L’abilità di Nestore, o per meglio dire del poeta, ha tratto
in inganno diversi interpreti moderni.[44] Ma la delicatezza
della situazione e soprattutto la decisa volontà di non scalfire l’autorità regale
di Agamennone, e anzi di confermarla come necessaria al proseguimento dell’impresa
comune (un fine che ben mostra l’esordio dell’orazione), portano l’oratore a strutturare
la sua perorazione in modo sottile, incastonando per così dire la sostanza del consiglio
(che sfavorisce
l’Atride) nel più ampio discorso sull’importanza e sulle prerogative della
regalità. Persegue e raggiunge in questo modo i due obiettivi fondamentali del suo
discorso: esprimere anzitutto la sua opinione sulla questione di Briseide, prevedendo
che la decisione di Agamennone, se portata a compimento, avrà gravi conseguenze
per tutto l’esercito acheo; difendere e confermare inoltre l’autorità del capo della
spedizione, messa in crisi dal suo stesso errore e dalla reazione, eccessiva, di
Achille. Per osservare nel dettaglio quel che è piaciuto definire incastonamento, vale la pena di
citare per esteso la perorazione:
(1. 275-84):[45] µήτε σὺ τόνδ’ ἀγαθός περ ἐὼν ἀποαίρεο κούρην, 275 ἀλλ’ ἔα, ὥς οἱ πρῶτα δόσαν γέρας υἷες Ἀχαιῶν· µήτε σὺ Πηλείδη
’θελ’ ἐριζέµεναι
βασιλῆϊ ἀντιβίην,
ἐπεὶ οὔ ποθ’ ὁµοίης
ἔµµορε τιµῆς σκηπτοῦχος
βασιλεύς, ᾧ τε Ζεὺς
κῦδος ἔδωκεν. εἰ δὲ σὺ
καρτερός ἐσσι,
θεὰ δέ σε γείνατο
µήτηρ, 280 ἀλλ’ ὅ γε
φέρτερός
ἐστιν, ἐπεὶ πλεόνεσσιν
ἀνάσσει. Ἀτρεΐδη,
σὺ δὲ παῦε τεὸν
µένος· αὐτὰρ ἔγωγε
λίσσοµ’ Ἀχιλλῆϊ
µεθέµεν χόλον, ὃς
µέγα πᾶσιν ἕρκος Ἀχαιοῖσιν
πέλεται πολέµοιο
κακοῖο. E tu a costui, ché sei valoroso, via non portar la fanciulla,
275 lasciala invece, ché gliela
diedero in premio i figli degli Achei. E tu, Pelide, non voler contendere
col re violentemente, ché non già
ugual parte d’onore prese il re scettrato, e a lui
Zeus diede il vanto. Ché se tu sei più
forte, madre divina ti generò, 280 questi è però più potente, perché di più genti è sovrano. Ma tu, figlio d’Atreo, tu cessa il tuo furore: ché io stesso ti prego di frenar contro Achille la bile, lui
che grande per tutti baluardo per gli Achei sta contro la guerra
funesta. |
Non è questa la sede per compiere un’analisi retorico-stilistica
di dettaglio, ma solo per alcune considerazioni che la presuppongono. Sopra ho scritto
che la sostanza del consiglio è incastonata all’interno del tentativo di conferma
dell’autorità regale di Agamennone. Questo sarà corretto solo a livello logico,
poiché nella sostanza oratoria sono le parole rivolte ad Achille (sulla
regalità) ad essere incastonate in quelle rivolte ad Agamennone (sul merito della
questione di Briseide).
Come si vede facilmente, l’oratore dedica lo stesso numero
di versi (5) ad entrambi i contendenti. Spezza però quelli rivolti all’Atride, laddove
gli esametri centrali rivolti al Pelide (1. 277-281) si risolvono in un discorso
che in ultima analisi riguarda Agamennone stesso, o meglio Agamennone in quanto
detentore del potere regale. La funzione di questi versi si svolge su tre piani:
il primo ha l’obiettivo immediato di moderare effettivamente Achille, ricordandogli
di stare al suo posto e di dare al re la giusta deferenza; il secondo piano si muove
nella direzione di una conferma in termini assoluti, divini (1. 279b) e terreni
(1. 281b), dell’autorità regale stessa: una posizione che risponde alla messa in
crisi generata dalla contesa in sé, aggravata dall’errore di Agamennone e sancita
dal gesto, appena compiuto da Achille, di gettare lo scettro a terra; il terzo livello
retorico svolge una vera e propria captatio benevolentiae nei confronti del sovrano che dovrà
tornare sui suoi passi. Da questo punto di vista, oltre che a livello logico, parlare
di incastonamento nel senso di cui sopra sembra anche rendere conto dell’effetto
complessivo della perorazione. Un effetto veicolato da una parte dalla posizione
iniziale e dalla concisione della direttiva contro l’atto dell’Atride (1. 275-76),
seguita e bilanciata dal maggior respiro del periodo successivo sulla regalità,
che si muove su tre versi; dall’altra dal fatto che nell’appello finale (1. 282-84),
la revisione della propria decisione è motivata da una preghiera (ancora una movenza
volta alla conferma dell’autorità), e dalla considerazione del valore di Achille
per la totalità dell’esercito, e non già, come in 1. 275-276, dalla presa d’atto
che si tratta di una decisione ingiusta politicamente.
Vorrei ora soffermarmi brevemente sulle modaltà stilistiche
con cui vengono espresse in questo discorso le posizioni che possiamo definire politiche,
nel senso generale di affermazioni che veicolano giudizi di valore e idealità a
proposito del reciproco rapportarsi dei personaggi in una prospettiva comunitaria,
spesso in prospettiva assiologica. Si vedrà che queste modalità presentano una certa
costanza, anche al di là del passo in questione.
Come si vede, questa perorazione di dieci versi è costituita
da quattro periodi, di due tipologie alternate: quelli da due (1. 275-76; 1. 280-81)
e quelli da tre versi (1. 277-79; 1. 282-84). Concisione e incidenza caratterizzano
i distici, maggior diffusione e musicalità i periodi in tre versi. È ai distici
che vengono affidate istanze definitorie di natura chiusa, basate su una modalità
di contrapposizione rigida, sigillate da una frase causale: così il tentativo di
correzione dell’atto di Agamennone (1. 275-76), come anche la definizione assiologica
della sfera di entrambi che dovrebbe moderare Achille (1. 280-81). Ai tre versi
si affidano strutture più complesse, ma con lo stesso grado di omologia: una frase
imperativa, seguita da una causale[46] e da una
relativa specificante: così Nestore tratta del potere del re, derivato da Zeus (1.
277-79), e del valore di Achille, necessario a tutti gli Achei (1. 282-84). Nelle
strutture a due vengono dunque affrontate le questioni precipue della contesa, nelle
strutture a tre se ne rende conto più diffusamente in termini assoluti. Degno di
nota è che tutti i versi dei distici, così come tutti i versi conclusivi delle strutture
a tre, abbiano una struttura di cola molto equilibrata (con forti cesure centrali, di norma
femminili), e fondamentalmente bipartita, per rafforzare la conclusione. Particolarmente
interessante appare il distico 280-281, dove la contrapposizione è espressa con
serrato parallelismo: ad un’identica struttura dei cola si accompagna la corrispondenza dei due comparativi,
in identica posizione metrica. A rafforzare il movimento in crescendo, funzionale a dare
più luce ad Agamennone, di cui si occupa il secondo verso, contribuisce la differenza
d’intensità delle causali (δέ, ἐπεὶ), e l’allitterazione finale di πλεόνεσσιν ἀνάσσει. Questa marcatura
eccezionale evidenzia l’importanza del distico per il discorso da un punto di vista
concettuale, e ne determina la posizione di assoluta rilevanza.
Lasciando per il momento il libro primo, vediamo come, alla
distanza di circa un terzo del poema,[47] al principio
del libro nono si trovi un’altra assemblea, nella quale si osservano e si discutono
in termini politici le conseguenze dell’errore di Agamennone. L’assemblea degli
achei che si svolge in 9. 9-78 fa da pendant a quella troiana della fine del libro precedente
(8. 479-542).[48]
Ad entrambe peraltro fa da sfondo il consiglio dei numi che precede quello del campo
troiano (8.438-84), dove Zeus sancisce, a dispetto delle proteste di Era ed Atena,
che la sorte dell’esercito invasore continuerà a volgere al peggio finché Achille
non tornerà a combattere, confermando così anche per i giorni a venire il favore
accordato ai troiani all’inizio dello stesso libro libro ottavo.[49] Il narratore
sistema le cose in modo da contrapporre nettamente l’esaltazione di parte troiana
alla disperazione argiva al calar della notte, che genera reazioni opposte. Nelle
sue parole, il contrasto è reso esplicito, tra il secondo consiglio divino e l’assemblea
troiana, in 8. 487-88, e poi nelle similitudini, con la serena visione alla fine
dell’ottavo libro (8. 555 ss.), degli innumerevoli fuochi troiani che
illuminano la piana,[50] paragonati
alle stelle, alla quale si oppone l’immagine della burrasca (9. 1-9), che attraversa
i cuori dei capi achei. Un altro forte motivo di contrapposizione si può trovare
nella dinamica stessa delle due assemblee. In quella troiana il dominio di Ettore
è assoluto: un capo forte, determinato e sicuro esalta la sua platea, che risponde
con un boato di approvazione unanime all’unico discorso.[51] Al contrario,
nella dolorosa assemblea degli invasori il capo è sfiduciato fino alle lacrime,
e al suo discorso risponde un silenzioso sgomento. Viene poi contestato con parole
forti da un eroe giovane come Diomede, e a stento Nestore riesce a mantenerne salda
l’autorità.
Quel che interessa è la vividezza della drammatizzazione,
ottenuta tramite i discorsi dei protagonisti. Ancora una volta, come nel primo libro,
vediamo come da una situazione iniziale segnata da un forte pathos, espressivo della
volontà di autoaffermazione dei protagonisti, si passi a considerare il problema
in termini più ampi e, specificamente, politici, grazie all’intervento del saggio
Nestore. Interesse dell’oratore è il ristabilimento di una dimensione assiologica
d’autorità basata sulla concordia, condizione imprescindibile per una possibilità
d’azione comunitaria.[52] Questa drammatizzazione
è ottenuta anche tramite il richiamo, nelle parole dei protagonisti, ad episodi
precedenti del poema che ne problematizzavano il reciproco rapportarsi. Il discorso
disperato[53]
di Agamennone è in parte identico[54] alla prima
metà di quello indirizzato alle truppe durante la peira. La replica di Diomede, che si svolge in
realtà su di un piano piuttosto personale e individualizzante, come non mancherà
di sottolineare Nestore, presuppone lo sgarbo rivoltogli proprio dall’Atride durante
la rassegna in 4. 364-421, dove veniva accusato di viltà e di inferiorità guerriera
rispetto al padre: un episodio determinante nella sua estensione per preparare l’aristia del Tidide nel quinto
libro. Egli, che allora aveva taciuto, si concede ora di rispondere, ed accusa
senza mezzi termini Agamennone di non avere i caratteri di un degno sovrano. 9.
37-39:
σοὶ δὲ διάνδιχα δῶκε Κρόνου πάϊς ἀγκυλοµήτεω
σκήπτρῳ µέν τοι δῶκε τετιµῆσθαι περὶ πάντων,
ἀλκὴν δ’ οὔ τοι δῶκεν, ὅ τε κράτος ἐστὶ µέγιστον.
A te divisi doni diede il figlio di Crono pensiero
complesso:
per lo scettro ti diede che fossi onorato fra
tutti,
valore non ti diede, ch’è il potere piú grande.
La presenza continua, quasi ossessiva, nel discorso di Diomende
del campo semantico dell’ἀλκή[55] porta ad intendere
primariamente questo segmento come inquadrato nel discorso personale del Tidide,
piccato contro Agamennone per l’ingiuria subita e desideroso di rivalsa. Ma è chiaro
che nei termini in cui l’accusa è rivolta, privi della forte animosità che aveva
contraddistinto gli insulti di Achille durante la contesa, essa è senza precedenti
per concisione ed equilibrio sintattico. Si tratta di una formulazione in negativo
delle qualità personali delle quali un re deve rendere conto, e in quanto tale si
pone sulla stessa linea della problematizzazione posta dalla contesa del primo libro
e perseguita nel secondo, con la differenza che allora si trattava dell’uso improprio
delle prerogative regali rispetto agli altri príncipi, mentre qui viene messo in
questione il valore sostanziale dell’uomo Agamennone rispetto alla sua
funzione. Come nella contesa, questa messa in crisi della figura regale viene veicolata
dalle parole di un protagonista che è mosso a parlare in questi termini da un affronto
subito personalmente. Perciò né nelle parole di Achille né in quelle di Diomede,[56] a motivo
del ruolo che il narratore gli attribuisce nella finzione drammatica, quello cioè
di rispondere a tu per tu, si ritrova una posizione netta del problema in termini
interamente politici. Spetta infatti a Nestore, in entrambi i casi, il compito di
provare a frenare l’Atride, in vista delle conseguenze negative per tutto l’esercito
derivanti dalla sua condotta, e sempre a lui spetta una formulazione di questo
tipo. Il narratore presuppone infatti nel personaggio di Nestore una più ampia consapevolezza
delle implicazioni che avrebbero, per la riuscita dell’impresa comune, tanto l’oltraggio
ad Achille, quanto un atteggiamento di disperata rinuncia di fronte alle avversità
belliche. Anche nell’assemblea del nono libro l’oratore di Pilo si trova nella delicata
situazione di chi, tenendo a mente il comune fine, deve correggere le volontà del
sovrano, e ristabilirne allo stesso tempo l’autorità minacciata dalle posizioni
di un altro protagonista che ne ha compreso gli errori ma, mosso da un impulso individualistico,
ne ha soltanto messo in crisi il ruolo egemone. Vediamo dunque come nelle parole
di Nestore vengano poste esplicitamente queste problematiche in termini politici,
all’interno della più generale strategia oratoria.
È ancora utile il confronto con il contesto del primo libro.
La situazione in cui Nestore prende la parola si configura come un momento di impasse:[57] si verifica
una contrapposizione tra l’assemblea stessa, che acclama il discorso di Diomede,
e il sovrano, che si ritrova isolato. In queste condizioni non è possibile procedere
ad alcuna decisione che tolga l’esercito dalla penosa situazione in cui si trova.
Per ovviare a questa contrapposizione, Nestore loda Diomede, per poi sottolineare
però le mancanze del suo discorso da un punto di vista strategico: non sei giunto al punto
del discorso (9. 56b). Per ottenere questo risultato, dimostrando al Tidide
che il suo statuto eroico è pienamente riconosciuto, sia in guerra che in consiglio,
l’oratore si avvale di quella strategia assiale che si è vista già nel discorso del primo
libro:
(9. 53-59):
Τυδεΐδη, περὶ µὲν πολέµῳ ἔνι καρτερός ἐσσι,
καὶ βουλῇ µετὰ πάντας ὁµήλικας ἔπλευ ἄριστος.
οὔ τίς τοι τὸν µῦθον ὀνόσσεται ὅσσοι Ἀχαιοί, 55
οὐδὲ πάλιν ἐρέει· ἀτὰρ οὐ τέλος ἵκεο µύθων.
ἦ µὲν καὶ νέος ἐσσί, ἐµὸς δέ κε καὶ πάϊς εἴης
ὁπλότατος γενεῆφιν· ἀτὰρ πεπνυµένα βάζεις
Ἀργείων βασιλῆας, ἐπεὶ κατὰ µοῖραν ἔειπες.
Tidide, nella battaglia sei forte di molto,
e sei in assemblea tra tutti i coetanei il migliore.
Nessuno
la tua parola biasimerà, quanti sono gli Achei, 55
né parlerà
in contrario; però del discorso non sei giunto alla fine.
E sei ben
giovane, certo, potresti essere mio figlio,
l’ultimo nato; pure saggezze tu dici
ai re degli Argivi, poichè hai
parlato opportuno.
In questo senso si può notare come l’esordio del discorso,
con l’apostrofe diretta a Diomende, in particolare nei segmenti comprendenti il
distico 9.53-54, nonché 9.57-58a, si ponga stilisticamente sulla stessa linea di
1.280-81, con contrapposizioni piuttosto serrate tra comparativi e superlativi.[58] Oltre all’identità
dell’adonio finale del v. 53 con il secondo e il terzo piede di 1.280, si noti che
il v. 9. 57, in particolare, ha struttura identica allo stesso 1.280, con ἐσσί in forte cesura,
seguito dal medesimo δέ causale. Nel periodo in 9.57-9, inoltre,
si può riconoscere lo stesso flusso in tre versi che in precedenza[59] ho evidenziato
essere esplicativo dell’istanza contenuta nel distico che lo precede.
Dopo la solita autoaffermazione di autorità sulla base della
propria vecchiezza[60] in 9. 60-62,
formulata con i medesimi stilemi dei versi precedenti, Nestore giunge al cuore della
sua orazione. Ecco la gnome contenuta
in 9. 63-64:
ἀφρήτωρ ἀθέµιστος ἀνέστιός ἐστιν ἐκεῖνος
ὃς πολέµου ἔραται ἐπιδηµίου ὀκρυόεντος.
senza fratria, senza giustizia, senza
casa è colui
che la battaglia brama intestina, crudele.
Spia della centralità funzionale di questo distico, oltre
alla collocazione, è la studiata costruzione e in definitiva il tono elevato, conferito
al v. 63 dal triplo omeoarco e dall’allitterazione che sfiora il triplo omoteleuto,
al v. 64 dal forte iperbato e dallo iato finale, entrambi volti a evidenziare
l’aggettivo. Ma è soprattutto a livello concettuale che questa gnome trova la sua posizione
centrale: segna infatti il distacco rispetto al discorso di Diomede, ed è intesa
ad indirizzare verso un nuovo corso di concordia la discussione.[61] Se essa
si riferisce, ad un primo livello, a Diomede stesso, di fatto fornisce anche il
retroterra ideologico all’istanza che verrà rivolta poco dopo ad Agamennone nel
contesto del consiglio ristretto nella tenda dell’Atride: è la lotta intestina a
pregiudicare la buona riuscita dell’impresa comune, e per uscire dalla crisi andrà
cercata una riconciliazione con Achille.[62] Dopo la
gnome vengono subito dati,
nella nuova prospettiva, e in versi che fungono in qualche modo da cesura (9. 65-68b),
dei consigli di tipo pratico a proposito dello schieramento delle sentinelle.
A questo punto Nestore si rivolge ad Agamennone, e lo stile
si innalza di nuovo. La proposta di un consiglio più ristretto, nel quale sarà più
opportuno effettuare la correzione del comportamento dell’Atride, diviene occasione
per una conferma dell’autorità del re, tramite la lode convenzionale delle sue sostanze
e prerogative. Precede l’elenco, che echeggia ma differisce significativamente da
quello di Tersite in 2. 226 ss., un altro distico stilisticamente significativo
(9. 69-70), dove si ritrovano le figure tipiche di questo tipo di posizione.
(9. 69-73):
Ἀτρεΐδη σὺ µὲν ἄρχε· σὺ γὰρ βασιλεύτατός ἐσσι.
δαίνυ δαῖτα γέρουσιν· ἔοικέ τοι, οὔ τοι ἀεικές. 70
πλεῖαί τοι οἴνου κλισίαι, τὸν νῆες Ἀχαιῶν
ἠµάτιαι Θρῄκηθεν ἐπ’ εὐρέα πόντον ἄγουσι·
πᾶσά τοί ἐσθ’ ὑποδεξίη, πολέεσσι δ’ ἀνάσσεις
Atride, tu pensa a comandare: tu sei il re supremo.
Offri un pasto agli anziani; s’addice, non è disdicevole. 70
Piene di vino hai le tende, che le navi degli
Achei
giornaliere dalla Tracia sull’ampio mare trasportano:
ogni accoglienza è tua, poichè su molti tu regni.
Si notino, al v. 69, il superlativo in chiusura,[63] preceduto
dal vocativo reiterato del pronome, con un accenno di quella movenza innologica
che verrà sviluppata nel discorso agli anziani che segue; al v. 70 la figura etimologica
e la paronomasia. Un’idea di ampiezza è veicolata dall’uso della formula ἐπ’ εὐρέα πόντον,[64] nonché dalla
posizione di evidenza a inizio verso[65] degli aggettivi
πλεῖαί e πᾶσά, che si richiamano
anche tramite la ripetizione di τοί, ancora di movenza innologica. Appare infine
degno d’interesse che, nella chiusura della serie di versi dedicata all’esaltazione
del potere di Agamennone si ritrovi un sintagma allitterante (πολέεσσι δ’ ἀνάσσεις) che richiama quello
visto in 1. 281b (πλεόνεσσιν ἀνάσσει), con la stessa
funzione stilistica e concettuale.
Quando poi si riunisce, dopo il banchetto, il secondo consiglio
(9. 89 ss.), come già prima del discorso di Nestore nella contesa, il narratore
ne sancisce in esordio l’autorità (9. 93-95). Prima di esporre il suo piano, che
mostrerà di nuovo gli errori di Agamennone, Nestore si perita di iniziare il discorso
con una forte movenza innologica (9. 96-99), alla quale segue l’ennesima definizione
del suo potere regale e, poi, l’appello alla concordia e alla persuasione:
(9. 96-102):
Ἀτρεΐδη κύδιστε, ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγάµεµνον
ἐν σοὶ µὲν λήξω, σέο δ’ ἄρξοµαι, οὕνεκα πολλῶν
λαῶν ἐσσι ἄναξ καί τοι Ζεὺς ἐγγυάλιξε
σκῆπτρόν τ’ ἠδὲ θέµιστας, ἵνά σφισι βουλεύῃσθα.
τώ σε χρὴ περὶ µὲν φάσθαι ἔπος ἠδ’ ἐπακοῦσαι, 100
κρηῆναι δὲ καὶ ἄλλῳ, ὅτ’ ἄν τινα θυµὸς ἀνώγῃ
εἰπεῖν εἰς ἀγαθόν· σέο δ’ ἕξεται ὅττί κεν ἄρχῃ
Splendido Atride, signore
di genti Agamennone,
in te finirò, da te comincerò,
poichè di molti
popoli sei signore e a te
Zeus ha affidato
lo scettro
e le sentenze, perchè tu ad essi provveda.
Perció bisogna che tu dica parola e l’ascolti, 100
che tu dia retta anche a un altro, se il cuore spinge
qualcuno
a parlar per il meglio: sarà tuo quel ch’egli comincia.
La formula iniziale, che copre interamente il verso, spicca
nella sua convenzionalità rispetto alle semplici apostrofi patronimiche con cui
sia Diomede (Ἀτρεΐδη, 9. 32) che Nestore
(Τυδεΐδη, 9. 53) avevano
iniziato i loro discorsi precedenti.[66] La movenza
innologica si esplica nel poliptoto del pronome, e nella nota, peraltro invertita,
sul fatto che egli sarà principio e fine del discorso. La conferma dell’autorità
passa ancora attraverso una sanzione terrena, con l’evidenziazione della quantità
di coloro che sono soggetti al potere regale,[67] ed una divina,
tramite la derivazione del potere da Zeus attraverso lo scettro e le themistai da amministrare.[68] È questa
probabilmente la sanzione più esplicita del potere regale di Agamennone da parte
di Nestore. Ma si tratta di un potere assoluto? In effetti i versi che seguono segnano
una sfumatura diversa. La conferma dell’autorità messa in crisi non è fine a se
stessa; è bensì presupposto funzionale alla possibilità dell’agire comune in vista
della risoluzione della situazione critica dell’esercito e delle sorti della spedizione,
una situazione derivata da un laceramento interno, causato proprio da Agamennone.
Perciò i vv. in 9. 100-102 fondono l’istanza d’autorità riferita alla parola di
Nestore con un completamento della definizione delle funzioni regali che va nella
direzione della concordia e di una dinamica decisionale di tipo collegiale. Questo
è mancato ad Agamennone durante la contesa, sia nei confronti di Achille che di
Nestore stesso (cfr. 9. 109-11), di cui non aveva ascoltato il consiglio. Le parole
di Nestore, nel riconfermare l’autorità regale e nel proporre un piano d’azione,
si configurano come una vera e propria posizione politica delle facoltà e dei limiti
della regalità, all’interno del dinamico contesto drammatico. La struttura ad anello
della prothesis sigilla questa istanza,
ricordando che ascoltare chi sappia parlare per il bene (εἰπεῖν εἰς ἀγαθόν) porterà frutti
allo stesso sovrano, forte della sua posizione: σέο δ’ ἕξεται ὅττί κεν ἄρχῃ (sarà tuo quel ch’egli comincia).
Conclusioni
I temi politici analizzati si concentrano intorno alla figura
di Agamennone, la cui regalità messa in discussione è tra le conseguenze più notevoli
della contesa con Achille. Una conseguenza che viene sviluppata a pieno nel secondo
libro del poema, e che sottende in qualche modo la disfatta dell’esercito invasore;
essa si verifica, con alterne vicende ma con progressione costante, fino al momento
dell’aristia di Patroclo nel sedicesimo
libro, il momento che determina, di fatto, il ritorno attivo di Achille nell’esercito.
La messa in crisi dell’autorità di Agamennone trova nel poema un suo momento di
protagonismo assoluto proprio nel corso delle assemblee, momento politico per eccellenza.
Con l’analisi della perorazione del discorso ai contendenti nel corso della contesa
che avvia il poema, si sono individuate le posizioni politiche di Nestore al riguardo.
Particolarmente interessante è risultato poi il contesto del nono libro, col suo
fitto susseguirsi di posizioni in un momento in cui si acutizza la forte crisi di
potere, direttamente derivata dai fatti narrati nel primo canto. In questa occasione,
l’utilizzo massiccio da parte del narratore dei discorsi dei personaggi mette in
scena diversi punti di vista, e traduce il problema politico in fatto letterario
e specificamente drammatico. Le posizioni dei vari personaggi riflettono la caratterizzazione
generale che ognuno di essi è venuto portando con sè nel corso del poema: lo si
è visto, oltre che naturalmente per Nestore, nel caso di Diomede. La caratterizzazione
si fa forte di episodi precedenti nei quali determinati aspetti del carattere e
della posizione eroica, gerarchica, umana erano stati messi in luce nel reciproco
rapportarsi delle figure stesse: casi esemplari, ancora una volta, sono quelli del
valore di Diomede, in guerra e in consiglio, e della saggezza e abilità politico-
oratoria di Nestore, da connettersi con la sua tarda età.
È dentro il contesto di queste dinamiche letterarie che si
sono cercate le posizioni politiche. Si è visto che in una certa misura è prerogativa
di Nestore quella di trovare, nella sapienza oratoria, una sistemazione in qualche
modo oggettiva delle problematiche politiche. Ma anche queste sono state inquadrate
nel ruolo e nel disegno che l’autore persegue tramite i discorsi del suo personaggio.
Linee guida di questo disegno sono la volontà costante di tener salda la superiore
autorità dell’Atride, e allo stesso tempo di istaurare dinamiche di concordia in
vista di un fine condiviso (la riuscita dell’impresa bellica) da perseguire comunitariamente.
La coincidenza di stilemi veicolanti analoghe istanze politiche
ha consentito di individuare nelle parole di Nestore una sorta di sistemazione concettuale
di questi temi. Lo statuto politico-oratorio della figura di Nestore, che tratta
appunto in maniera retoricamente omologa le istanze politiche d’autorità, delinea
una figura regale dai contorni ben precisi e sostanzialmente opposti, politicamente,
a quelli manifestati da Agamennone nei confronti di Achille. La forza dell’autorità
non può prescindere dal perseguimento dell’azione comunitaria, la quale per effettuarsi
ha bisogno di concordia e di lungimiranza. Nei confronti di Achille l’Atride ha
fatto un uso sconsiderato delle themistai sue prerogative, non solo invadendo lo spazio
comunitario (togliendo cioè il dono dei figli degli Achei), ma non tenendo
in conto l’opinione dell’assemblea, nella persona di Nestore stesso. Tale opinione,
espressa tanto nel discorso ai contendenti, quanto nel corso delle assemblee del
nono, può considerarsi un vero e proprio giudizio in termini politici, e perciò
si configura come momento di riflessione extradiegetica. È un risvolto garantito
da una forma costante della parola che si è vista esprimersi in termini assoluti,
spesso gnomici. Da questo punto di vista si può cogliere l’importanza delle parole
di Nestore anche al di fuori del contesto drammatico in cui s’inseriscono.
Sarà proprio l’aristia oratoria di Nestore nel poema, il più lungo discorso di tutta
l’Iliade,[69] quella che
porterà alla svolta tragica nella trama alla quale si accennava, la morte di Patroclo
e il ritorno di Achille. Per convincere Patroclo il vecchio di Pilo dispiega tutta
la sua capacità, in un discorso che, pur non configurandosi come oratoria d’assemblea,
pone comunque al centro i valori della concordia e la prospettiva del fine comune,
aberrando l’individualismo e ponendo l’eroismo in una dimensione politica.[70]
BERNARDO BALLESTEROS PETRELLA
Scuola Normale Superiore di Pisa
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[*] Il presente lavoro è stato concepito e scritto quale prova per il Colloquio di passaggio d’anno
(a.a. 2011/12) presso la SNS, e discusso
a Pisa, in data 17 Aprile 2012, di fronte a una commissione composta dal prof. G. W. Most
(presidente), dal prof. G. Paduano, dalla
dott.ssa A. Santoni e dal prof. M. Tulli (relatore). Un ringraziamento va a tutta la commissione, e in particolare al prof. Tulli, che mi ha seguito
con grande attenzione e benevolenza. Un ringraziamento affettuoso alla dott.ssa M. V. Pineda, per la sua naturale gentilezza. Naturalmente è mia la responsabilità di quanto sostenuto nelle prossime pagine.
1 Si veda infra, pp. 5 ss.
[2] Questi aspetti dell’oratoria omerica sono da tempo
noti alla critica, si
veda da ultimo ROISMAN (2007:
passim), con
bibliografia. Basti pensare, rispettivamente, alla teichoskopia nel
terzo libro, alle parole di Fenice ad Achille in Il. 9. 442-43,
e al ruolo che ha la parola ornata, dentro o fuori dall’assemblea, nei fondamentali episodi attorno
ai quali ruotano interi canti come Il. 1, 2, 9, 19, 23.
[3] Cfr. supra n. 1.
[4] Per un primo approfondimento e bibliografia sullo statuto eroico di Nestore, così legato alla parola ornata,
si possono vedere MARTIN (1989: 55-62,
101-112); DICKSON (1995); ROISMAN (2005).
[5] Nel libro 1, solo Nestore e Calcante
vengono presentati all’uditorio in modo diffuso,
con una presentazione di carattere
generale e non legata esclusivamente al contesto
(1.68-73). Tenta un confronto tra queste due figure
e tra il loro statuto epistemologico DICKSON (1995: 47-64). La dimensione epistemologica di Nestore si basa
tutta sulla propria esperienza, come egli stesso fa mostra nei suoi discorsi,
in cui sono gli exempla
del passato a fungere da paradigmi etici, politici,
militari. Un possibile raffronto che ne evidenzia le implicazioni politiche è offerto dal dono di Calliope ai re scettrati
in Hes. Th. 79-90: si
veda l’ancor utile SOLMSEN
(1954: 1-15). Un altro raffronto, utile per
la definizione dell’oratoria di Nestore come poetica
è Hym. XXV (ad Apollo e alle Muse). Si vedano le parole del Latacz nel suo commento
al passo iliadico
(LATACZ 2000: 103), peraltro preceduto dallo sch. Ab a Il. 1. 249, cfr. ERBSE (1969: 78): il poeta sembra estendere
questa lode a se stesso; proiettare cioè le qualità
a lui proprie sul suo personaggio.
[6] Per alcune interpretazioni del secondo dell’Iliade in questo senso si vedano DONLAN (1979: 51-57);
TAPLIN (1990: 33 ss.) e
DI
BENEDETTO (1994: 349-358)
[7] Si veda in generale
ANDERSEN (1978).
[8] Per la digressione sulla critica
che segue, trovo supporto
nelle rispettive interpretazioni teorico-programmatiche di GILL (1996: 29-41,
107-115) e di HAMMER (2002:
3-48).
[9] Si tratta di una linea di pensiero che dall’opera di SNELL (1948),
percorre trattazioni fondative come quelle di ONIANS (1952), di DODDS (1957),
nonché il lavoro di A. W. H. Adkins a partire
da ADKINS (1960);
risentono fortemente di questa
impostazione FINLEY (19772), e l’opera
di E. Havelock, di cui sul tema politico si veda HAVELOCK
(1978).
[10] Rimando alla rassegna
critica offerta nella prima parte dell’articolo di HAMMER (1998:
1-30).
[11] A proposito di questo
contesto di studi bisogna però fare delle distinzioni, sebbene
i due aspetti
del problema (quello delle possibilità etiche del personaggio omerico e della possibilità di individuare una dimensione politica
nell'Iliade), siano naturalmente connessi. Curiosamente, la negazione
delle facoltà decisionali degli eroi omerici (di volta in volta schiavi del disegno divino, della 'civiltà di vergogna', o di un'estemporanea composizione orale
dell'opera poetica),
che tanto bene si accompagna alla negazione di un campo di problematizzazione
politica dei contrasti
interpersonali tra i personaggi stessi,
appare avere rispetto
a quest'ultima direzioni culturali in qualche
modo opposte. Come giustamente sottolinea uno studioso
del pensiero come GILL (1996:
30 ss.), la fondamentale trattazione di B. Snell sul pensiero greco, che diede
in qualche modo il via alla linea evoluzionistica d'interpretazione di tale mentalità, secondo
la quale vi sarebbe
un percorso dal minore al maggiore grado di autocoscienza del sé come unità da parte dell’individuo, pone le sue fondamenta nel pensiero di Hegel; e allo stesso
modo la trattazione dell'etica omerica
perseguita nel decennale
lavoro di A.W.H. Adkins si poggia su una concezione di normalità del comportamento etico dell'individuo, in base alla quale vengono lette
le anormalità omeriche, di matrice kantiana; il tutto presuppone una definizione dell'individuo come unità conoscitiva
che, risalendo a Cartesio,
si caratterizza come interamente moderna. Ora invece
il comune atteggiamento critico di fronte alle espressioni della socialità
in Omero, fondato
sui presupposti teorici
di una certa antropologia sociale -HAMMER (1998: 3 ss.) rintraccia questi presupposti ad esempio nell’opera di A. R. Radcliffe-Brown, da RADCLIFFE-BROWN (1940) a RADCLIFFE-BROWN (1952); altri testi paradigmatici sono EASTON (1959: 210-262) e FRIED (1967)-,
sia che si manifesti nella ricerca di forme fisse e comuni alla generalità umana, sia che si voglia porre in una prospettiva diacronica, si avvale
di una metodologia di natura strutturale che programmaticamente contrasta con un approccio di matrice idealistica
[12] Fondamentale per la critica ad Adkins
è il volume di CAIRNS (1993).
[13] Cfr. infra n. 21
[14] Per la precisione, se nell’Iliade i discorsi diretti costituiscono circa il 45% del poema (7 018 vv. su 15 690), nell’Odissea la proporzione è ancora più stringente (8 225 vv. su 12 103): ma naturalmente va tenuto in conto che nel secondo poema il protagonista si fa a lungo narratore. Trovo i numeri in GRIFFIN (2004: 156 n. 1), tratti da SHMID-STHÄLIN (1929: 92).
[15] Si veda da ultimo la trattazione generale di GRIFFIN (2004: passim) con bibliografia.
[16] Un primo interessante tentativo è quello condotto
da FRIEDRICH & REDFIELD (1978: 263- 288); si vedano per il principio di questa tendenza
anche GRIFFIN (1986: 36-57), nonché il volume di MARTIN (1989).
[17] Bisogna precisare
che il lettore moderno può parlare di tracce, mentre l’uditore
antico aveva tutt’altra percezione. Si vedano
le considerazioni di DI BENEDETTO (1994: vii ss.).
E’ significativo che nel testo di West adibito
per la sua traduzione e il relativo Kommentaar, LATACZ (2000) compia la scelta
tipografica di evidenziare in corsivo
le parti di testo
occupate dai discorsi
diretti.
[18] Su questo aspetto si focalizza l’importante raccolta di studi edita da BREMER – DE JONG – KALFF (1987)
[19] Si vedano le prime sistemazioni di DE JONG (1987); LYNN-GEORGE (1988); RICHARDSON
(1990).
[20] Si veda da ultimo ROISMAN (2007: 429-446),
con bibliografia.
[21] Cfr. Arst. Poet. 1460a 5-12; in ogni caso anche l’attenzione critica platonica
a questo aspetto nel III della Repubblica conduce nella stessa direzione. Si vedano su Platone e Omero le limpide considerazioni di GRIFFIN
(2004: 156-158).
[22] HAMMER (2002).
[23] In questo senso egli prende in prestito
il concetto dinamico
di ‘campo’ (field) dagli
studi dell’antropologo V. Turner -
fondamentali TURNER (1974) e (1986). L’idea
di un campo che si allarga e si restringe, di volta in volta
declinandosi nei vari contesti,
oltre che mostrarsi efficace per l’Iliade grazie alla metafora
bellica, appare indubbiamente adattarsi meglio
alla finzione letteraria, nonché alla mobilità intrinseca di un contesto mitico che il poeta vuole, sempre nella finzione
epica, restituire all’uditorio con verosimiglianza. Inoltre, con ulteriore
felice suggestione, alla nozione di campo si affianca quella
di performance, qui non tanto eredità
degli studi omerici di indirizzo
oralistico quanto, più propriamente, come caratterizzante la maniera omerica
di rappresentare l’azione
politica all’interno del field.
[24] Si veda la recensione di CAIRNS (2004: 345-49).
[25] Nel nono libro Nestore
pronuncia due discorsi, uno (9.53-78) di fronte all’assemblea generale dell’esercito (ἀγορή, cfr. 1.54; 2.50; 7. 345, 382; 8. 489; 18. 243; 19. 40; 20. 4), l’altro
nel piú ristretto consiglio degli anziani
(come in 2. 404 ss., dove pure segue l’assemblea generale). Sulle assemblee iliadiche si vedano tra gli altri, oltre alle pagine classiche di ARENDT (1933: 118-121), SCHOFIELD (1986: passim) e HAMMER (2002:
43-48).
[26] Pagine interessanti sul personaggio di Nestore
come mediatore si trovano
in DICKSON (1990: 37-71); nel particolare contesto
del primo libro si veda, oltre a WILAMOWITZ- MOELLENDORF (1916: 250-251),
SEGAL (1971: 90-105)
[27] Tanto che sono proprio questi i versi omerici
scelti da EDWARDS (1991: 42-60) per illustrare le rhetorical figures of speech. Ma molti si sono soffermati su
questo discorso. Si vedano,
oltre ai commenti, LOHMANN (1970: 224 n. 18); MARTIN
(1989: 101 ss.); TAPLIN (1992: 101 ss.); TOOHEY (1994,
153-175); ROISMAN (2005: passim)
[28] Cfr. supra, Introduzione.
[29] Per una panoramica
sulla funzione dello scettro in Omero si vedano COMBELLACK (1948, 209-217);
EASTERLING (1989: 104-121); HAMMER (2002: 81, 84, 86-88, 117-121,
132).
[30] Ha ben inteso la funzione determinante del gesto di Achille GRIFFIN (1980 :
31 ss.). Si veda anche il commento
ad l. di
LATACZ (2000: 103), e HAMMER (2002: 132)
[31] Seguo, quanto all’interpretazione politica della contesa,
HAMMER (2002: 80-92 -sulla contesa,
114-134 -sulla
themis).
[32] Cfr. Il. 1. 247a: Ἀτρεΐδης δ’ ἑτέρωθεν ἐµήνιε. Tutte le traduzioni, con qualche eccezione indicata e qualche
modifica, si basano su quella di R. Calzecchi
Onesti; con a o b dopo il numero di verso si desidera prendere
in considerazione alternativamente il primo (a) o il secondo (b) emistichio
[33] Di fatto questo livello specifico
di contrapposizione viene reso possibile
dal ritardo in cui si trova rispetto al momento culminante di contrapposizione drammatica: l’intervento di Atena, che frena la volontà regicida
del Pelide, reazione emotiva
alla notizia dell’oltraggio, consente
di sviluppare la contesa verbalmente, laddove agli insulti, di natura personale, seguono le conseguenze politiche
di più ampio respiro, quelle che avranno peso per la trama del poema
[34] Su questo carattere
dei discorsi dell’Iliade si vedano LOHMANN (1970: 12-30,
passim), nonché
EDWARDS (1991: 44-48)
[35] Fondamentale per la comprensione e la definizione scientifica di questo tipo di figura dell’epica omerica
quale paradeigma è stato AUSTIN (1966:
295-312), da cui vale la pena citare:
the paradigmatic stories are drawn from personal
experience, family history, or myths outside the troyan legend. They are rhetorical devices whose intention
is always persuasive; they are either hortatory
(or dissuasive) or apologetic. (…) The digressions of Nestor are both hortatory and apologetic. Queste digressioni paradigmatiche hanno una costante struttura
ad anello - cfr. WILLCOCK
(1964: 142) e (1977: 41-53)- volta a chiarificare i termini
del paragone col passato mitico,
con legame analogico od oppositivo. Si configurano dunque anzitutto come narrazione, laddove in essa vengono a confluire i temi della sapienza
data dalla memoria.
Il paradeigma epico viene trattato anche da KENNEDY
(1963: 26 ss.), con riferimento ad Arst. Rhet. 1393a., e da ANDERSEN (1987: 1-13)
[36] D’ora innanzi tutti i riferimenti di questo tipo sono da intendersi come riferiti all’Iliade
[37] Cfr. LATACZ (2000:
ad l.).
[38] εἰ σφῶϊν τάδε πάντα πυθοίατο µαρναµένοιϊν,/ οἳ περὶ µὲν βουλὴν ∆αναῶν, περὶ δ’ ἐστὲ µάχεσθαι.
[39] Cfr. PULLETYN (1995: ad l.)
[40] Per una rassegna critica dei luoghi omerici dove viene espressa questa idea, e per il peso che ha per l’ideologia e la trama del poema, rimando a SCHOFIELD (1986: passim)
[41] Si noti l’allitterazione sacrale- termine usato da HAINSWORTH (1993: ad 9. 63), a proposito della stessa allitterazione, su cui cfr. infra p. 18; cfr. anche DI BENEDETTO (1994: 355 n. 13), che richiama LFrgE (SNELL
et al. 1955-2010: I 1717-1718); KIRK (1985: 17 ss., 80), per parte sua attribuisce la forza del verso
al rising threefolder: ora però a livello concettuale questa climax viene sicuramente meno. Se la sua analisi
è efficace a livello ritmico, non va d’altra parte sottovalutata la forza della cesura centrale,
che non corre tanto nel senso di preparare
lo sciogliersi dell’ultimo colon, quanto in quello di fermare l’attenzione, al centro del verso,
sul richiamo alla compagine achea nella sua totalità.
[42] Sui limiti di carattere
storico ma sull’utilità analitica di un utilizzo della terminologia retorica successiva al periodo di composizione del poema si veda TOOHEY
(1994:153-154).
[43] È questo
un punto fondamentale; si veda, per l’importanza di questo fattore nel poema, HAMMER (2002: 114-133).
[44] Valga per
tutti l’affermazione di TAPLIN (1990:
90): he (scil. Nestor) utterly fails to heal the dispute
because he defers too much to Agamemnon. Altre interpretazioni parziali e fuorvianti si trovano
nei recenti volumi di ALDEN (2000: 74-82); e di LOUDEN (2006: 119-120). Generalmente anche i commenti, con l’eccezione di LATACZ (2000),
appaiono insoddisfacenti
[45] La traduzione del passo è di chi scrive.
[46] Sulla sfumatura causale (apodotic), che può presentare αὐτὰρ cfr. DENNISTON
(19542 : 55).
[47] Si tenga presente che diversi interpreti, tra questi LOHMANN
(1970), TAPLIN (2000), LOUDEN (2006), trovano una divisione tripartita dell’Iliade, le cui cesure, o punti di svolta, sarebbero rappresentate dalle sequenze
politiche al centro dei libri 1, 9 e 19.
[48] Sulle considerazioni di ordine narrativo
che seguono si vedano LOHMANN (1970: 213 ss.); e i commenti ad l. di HAINSWORTH (1991) e di GRIFFIN
(1995).
[49] Dapprima con la proibizione d’intervento nei confronti delle altre divinità
(consiglio divino in 8. 2-40), poi con la prova della bilancia
(8. 64-74) e i ripetuti fulmini gettati nel campo di battaglia
di propria
mano (8. 75-77; 8. 132-136).
Non è privo d’interesse che protagonisti di quest’ultimo episodio siano proprio
Ettore, Diomede
e Nestore, e che le reazioni di fronte al fulmine di Zeus rispecchino le posizioni
che avranno durante le rispettive assemblee successive: esaltazione di Ettore, impeto irriflessivo di Diomede e superiore, moderata
consapevolezza di Nestore
saranno infatti fulcri degli ethe che muoveranno le loro parole. Si noti peraltro la consonanza verbale
e stilistica, tra la gnome di Nestore in 8. 143-44 (ἀνὴρ δέ κεν οὔ τι ∆ιὸς νόον εἰρύσσαιτο / οὐδὲ µάλ’ ἴφθιµος, ἐπεὶ ἦ πολὺ φέρτερός ἐστι. ma non può penetrare
un mortale la mente di Zeus / neppure
s’è gagliardo, perch’egli
è molto più forte.) e il passo visto in
1. 281, laddove 8. 144b = 1. 281b: sulla stessa
linea si pone 9. 69b, (σὺ γὰρ βασιλεύτατός ἐσσι - tu sei il re
supremo), su cui cfr. infra p. 18
[50] Considerazioni prospettiche sulla similitudine dei fuochi offre DE JONG (1987: 131-134)
[51] Questo atteggiamento di Ettore fa parte di un’ulteriore linea di discorso politica, dagli esiti tragici, condotta dal narratore, che vede appunto il principe troiano
come protagonista: SCHOFIELD (1986: 18-22).
[52] La preoccupazione di Nestore per uno sbocco pratico delle situazioni di stallo si mostra in modo esplicito anche nel suo discorso all’assemblea durante la peira in 2. 342-43: αὔτως γὰρ ἐπέεσσ’ ἐριδαίνοµεν, οὐδέ τι µῆχος / εὑρέµεναι δυνάµεσθα, πολὺν χρόνον ἐνθάδ’ ἐόντες. (cosí contendiamo a parole, ma un mezzo / non sappiamo
trovarlo, pur rimanendo qui a lungo), dove pure la proposta per l’esercito (2. 362 ss.) è preceduta dalla riaffermazione del potere di Agamennone (2. 344-45; 360a)
[53] La similitudine del pianto come fonte d’acqua verrà ripresa
all’inizio del libro sedicesimo a proposito di Patroclo (16. 3-4). Forse questa ripresa indica, come sospetta GRIFFIN (1995: ad l.),
la ricaduta della sofferenza di Agamennone su Patroclo a causa di Achille, il quale non ha accettato
la riconciliazione; sofferenza che
poi ricadrà su Achille stesso, il quale per ora la disprezza
[54] 9. 18-28 = 2. 111-18 + 139-41. L’esclusione dalla ripetizione dei versi centrali del discorso
del secondo libro (2. 119-37, dai quali emerge per l’uditorio del poeta l’intenzione complessa di Agamennone, che vorrebbe
dalle truppe una risposta
contraria a quella che poi si verifica), insieme alla variazione del verso d’esordio e all’opposta reazione dell’uditorio, mostrano
una precisa volontà
da parte dell’autore di accentuare il pathos della situazione presente
variando i moduli
precedenti. Si vedano le discussioni in LOHMANN (1970:
214 ss.), DI BENEDETTO
(1994: 354-55), e GRIFFIN (1995: ad l.); cfr., contra, le perplessità di HAINSWORTH (1993: ad l.).
[55] Cfr. ἀλκὴν (9. 34, 39); ἀνάλκιδα/ἀνάλκιδας (9. 35, 41)
[56] Echi nelle parole di Diomede
(9. 42 ss.) di frasi usate contro Achille da Agamennone (1. 173 ss.) sono state mostrate da LYNN-GEORGE (1989: 84).
[57] Su questo aspetto insiste
DICKSON (1990, passim).
[58] La lexis in contrappunto è chiastica nell’ordo verborum
nel caso di καρτερός ἐσσι / ἔπλευ ἄριστος, ma rigorosamente parallelistica nella posizione dei
dativi; ancora un parallelismo parzialmente anaforico
si trova in οὔ τίς / οὐδὲ; da notare ancora
il gusto per l’allitterazione del σ in ὀνόσσεται ὅσσοι.
[59] Cfr. supra p. 14
[60] È questo un tema fondamentale nell’oratoria di Nestore, su cui non mi sono
particolarmente soffermato in questo lavoro.
Esso si inserisce nella generale caratterizzazione dello statuto eroico
come completo se fornito di capacità guerriera
e capacità politico-oratoria, per il quale cfr. supra, Introduzione e, per Nestore, soprattutto 4. 310-325 e 8. 99-104.
Nel contesto oratorio la tarda età diventa
punto di forza, e giustifica la digressione paradigmatica. Si vedano in generale AUSTIN (1966: passim); MARTIN (1989: 60 ss.); DICKSON (1994);
ROISMAN (2005: passim).
[61] HAINSWORTH (1993: ad l.) nota che probabilmente si tratta di un proverbio, a motivo della scelta di una parola come πολέµου, senza dubbio meno adatta al contesto
di ἔριδος. Quesa gnome avrà molta fortuna: cfr. Ar. Pax 1097, Dem. 20. 158, Cic. Phil. 13.
1.
[62] Data la natura generalizzante, è chiaro che il contenuto ideologico si riferisce
anche, e forse soprattutto, all’assente Pelide. La menzione
delle fratrie è prerogativa di Nestore (cfr.
2. 362-63). Si veda ANDREWS (1961: 129-140).
[63] Si tratta di un hapax in
Omero, assente anche nell’Odissea e negli Inni. Vediamo
dunque espressa
nelle parole di Nestore,
ancora una volta, la volontà di definire in espliciti termini politici il ruolo di Agamennone; lo stilema è lo stesso già notato in 1. 280-81 e su Diomede.
Cfr. supra n. 49
[64] Cfr. LfrE s.v. εὐρύς: SNELL et al. (1955-2010: II 803-807).
[65] Su questo stilema omerico
cfr. EDWARDS (1991: 42-43)
[66] Cfr. HAINSWORTH
(1993: ad l.)
[67] Stavolta si passa da un generico molti (per cui cfr. 1. 281 e 9. 73), al
più specificamente politico popoli. Si noti l’accento dato dall’enjambement: è lo stesso
modulo retorico che si trova in 1. 283-84 a proposito dell’importanza di Achille per tutti gli Achei
[68] Il v. in 9. 99 echeggia l’ultimo
verso del breve ma fondamentale discorso
di Odisseo alle truppe in 2. 200-206,
dove si trova per così dire il manifesto iliadico
della regalità unica. Si può notare, poiché si tratta di un altro discorso
in cui si esplicitano istanze politiche, una coincidenza di moduli retorici: cfr. e.g. 2. 201a οἳ σέο φέρτεροί εἰσι (che
di te son più forti), ma anche la parenesi di 2. 200b καὶ ἄλλων µῦθον ἄκουε (ascolta il parere
anche degli altri) ~ 9. 100b-101a
[69] Cfr. 11. 656-803. Su questo discorso si veda l’importante PEDRICK (1983: 55-68), con bibliografia alle nn. 1 e 2; MINCHIN (1991: 273-285), nonché l’analisi retorica di TOOHEY (1993: 158- 161).
Solo di passaggio vorrei
far notare come anche in questo discorso,
nel punto nevralgico del tentativo di persuadere Patroclo si trovino
i medesimi stilemi
di cui sopra si è discusso. Si veda il distico, denso di implicazioni, in 11. 786-87 (Nestore
riporta parole di Menozio,
padre di Patroclo): τέκνον ἐµὸν, γενεῇ µὲν ὑπέρτερός ἐστιν Ἀχιλλεύς, / πρεσβύτερος δὲ σύ ἐσσι· βίῃ δ’ ὅ γε πολλὸν ἀµείνων (figliolo, di stirpe più grande è Achille / ma tu sei più anziano;
di forza egli è molto migliore).
[70] Non bisognerà dimenticare che il ruolo politico
di Nestore, come è stato tracciato in questo lavoro, non è scindibile dal suo ruolo militare, e, più generalmente, da quello di preserver of social solidarity - cfr. ROISMAN
(2005: 35-38). Passi esemplari sono l’invocazione agli dei in 15. 370 ss. e 15. 659 ss., entrambi nell’imminenza dell’assalto di Ettore alle navi, nel momento effettivo di maggiore
crisi militare. Ma in questa sede è stata presa in esame la dimensione più strettamente oratorio-assembleare.