BERNARDO BALLESTEROS PETRELLA

(Scuola Normale Superiore di Pisa)

 

NESTORE ORATORE NELL’ ILIADE: STRATEGIE DEL NARRATORE, POSIZIONI DEL PERSONAGGIO[*]


 

The Oratory of Nestor in the Iliad: Narrator’s Strategies and Character’s Positions

 

ABSTRACT: Nestor’s authority and rhetorical skills, praised by the narrator, play an important role in the debate concerning Agamemnon’s authority. The speeches pronounced in the army’s assemblies of Il.1 and 9 make it possible to observe Nestor’s position about this political problem. It remains constant in content as in the use of specific rhetorical means. Nestor shows an idea of authority antithetical to the personal use of power made by Agamemnon, looking for a communitarian action both in terms of decision-making procedures and goals.

KEY WORDS: Agamemnon, authority, heroic code, oratory, Iliad, Nestor, politics.

 

SINTESI: L’autorità e l’abilità oratoria di Nestore, lodate dal narratore, lo rendono protagonista nel dibattito sull’autorità di Agamennone. Nel contesto dei discorsi pronunciati in assemblea nel I e nel IX libro dell’Iliade è possibile seguire la posizione di Nestore rispetto a tale questione politica. Essa rimane costante tanto nei contenuti quanto nel ricorso a precisi stilemi oratori, i quali sembrano veicolare istanze d’autorità originali nella loro opposizione all’uso arbitrario del potere da parte di Agamennone, così come nel ruolo fondante attribuito ad una azione che sia comunitaria a livello decisionale e d’interesse.

PAROLE CHIAVE: Agamennone, autorità, statuto eroico, oratoria, Iliade, Nestore, politica.

 

Fecha de Recepción: 30 de Abril de 2012.

Fecha de Aceptación: 17 de septiembre de 2012.

 

 

Introduzione

IL PRESENTE LAVORO si pone come punto d’incontro di tre diverse linee di discorso che è possibile rintracciare nell’Iliade, e delle tre strade d’indagine critica che ad esse corrispondono. Si tratta della caratterizzazione dei singoli personaggi dell’epica da un lato, della problematizzazione politica dall’altro; punto di raccordo tra queste due tematiche vengono ad essere i discorsi diretti dei personaggi stessi, che occupano gran parte della mole del poema e che tanta parte hanno nella sua specificità poetica e nella sua complessità narratologica.1 Tra le vie critiche di approccio ai discorsi, quella che occuperà queste pagine prende il nome di oratoria. È una via indicata dal poema stesso, poiché l’oratoria è nell’Iliade specificamente tematizzata, utilizzata con risvolti drammatici per la trama, fondamentale per la definizione del carattere eroico.[2]

La strada dell’oratoria sembra quella più adatta a percorrere i temi politici nell’Iliade, volendo mantenere un approccio letterario; non distogliendo cioè mai l’attenzione dalle ragioni specifiche del testo in vista della drammatizzazione e della mimesis. In questo senso sono fondamentali gli studi sulla caratterizzazione dei personaggi,[3] i quali tentano di rintracciare linee d’evoluzione e problematizzazione, osservando il modo di porsi dei singoli di fronte alle diverse situazioni narrate, ormai consapevoli che i movimenti degli eroi dell’Iliade non sono totalmente convenzionali né rispondono a modi di pensiero che non lasciano spazio all’individualità; se sono ristretti e condotti, lo sono da parte del disegno del narratore.

La scelta di Nestore come protagonista per questo tipo d’indagine può apparire ovvia a chi abbia anche solo maneggiato il poema, ma merita qui qualche parola. Il figlio di Neleo è il campione dell’oratoria nell’Iliade.[4] Nella sua veneranda età, non può in grado di combattere come un tempo, presta agli Achei i suoi servigi come consigliere; sua è sempre l’opinione più autorevole, quasi sempre seguita. Sue sono le digressioni mitiche più lunghe del poema; Nestore è l’unico che osa tentare di mettersi fra Achille e Agamennone durante la contesa nel primo libro, egli propone la costruzione del baluardo acheo nel settimo, egli mette in moto l’ambasceria del nono, grazie al suo discorso nell’undicesimo Patroclo vestirà le armi di Achille. Questo quanto alla trama. Quanto alla capacità oratoria, l’introduzione che il narratore porge di questo personaggio in Il. 1.247-53, presentando il suo primo discorso, è unica per estensione ed implicazioni.[5] In effetti queste parole del poeta sul suo personaggio consentono di dare avvio ad un’indagine che cerchi nell’oratoria di Nestore chiavi d’interpretazione di carattere generalizzante per le problematiche etico-politiche diffuse nel poema. È un tentativo d’indagine che si sostanzia peraltro del ruolo svolto dal vecchio di Pilo nei contesti politico-oratori.

L’analisi delle modalità retorico-stilistiche nei discorsi tenuti da Nestore nelle assemblee e nei consigli del primo e del nono libro porterà ad individuare degli stilemi costanti, modi d’espressione che veicolano analoghe istanze sulla questione politica della messa in crisi dell’autorità di Agamennone. Si vedrà che queste istanze possono essere viste quali veri e propri momenti di riflessione e concettualizzazione delle problematiche comunitarie, volti, nel contesto dell’azione drammatica, ad un tentativo di risoluzione per mezzo di proposte aventi quella stessa ideologia formalizzata come base.

 

Premessa

Nel corso della prima metà del poema la figura di Nestore si fa portatrice, nella sua funzione espressiva di valori e idee di ordine etico-politico, di due direttive fondamentali, che appaiono in qualche modo mitigarsi e completarsi a vicenda nella direzione del mantenimento dell’ordine, necessario al proseguimento della comune impresa bellica da parte della compagine achea. Esse sono rappresentate, se si vuol guardare direttamente al risultato auspicato, da una parte dal tentativo di confermare l’autorità di Agamennone, dall’altra da quello di far sì che Achille rientri a far parte attiva nell’esercito. Alla messa in crisi della compagine Achea, originata dalla lite tra Achille e Agamennone e causa scatenante per l’azione del poema, rispondono quindi le due posizioni che sostanziano l’atto politico delle orazioni di Nestore. La contesa ha infatti minato l’autorità del capo della spedizione, e allo stesso tempo privato l’esercito del suo più grande baluardo. Ma, sia a livello espressivo che contestuale, si vedrà come queste due istanze si pongono di fatto ad un livello di notevole astrazione, e solo nel corso della prima rhesis (Il. 1.254-284), esse vengono indirizzate direttamente ai due protagonisti - poiché ad essi il discorso stesso si rivolge, ma sempre come conseguenze negli effetti di uno stato normativo di cose definito di per sé. Si vedrà che questa tendenza all’astrazione è determinata dalla natura fortemente gnomica della parola di Nestore. Se quindi è legittimo considerare come fine delle due direttive la permanenza di Achille e il mantenimento dell’autorità di Agamennone, dai dati testuali sembrano emergerne con più forza i tratti sostanziali: la conservazione dell’autorità unica in vista del fine comune, e il mantenimento di una concordia, basata sul riconoscimento del ruolo altrui, tra coloro che questo stesso fine si sono impegnati a perseguire.

La costante presenza di queste direttive negli interventi del vecchio di Pilo può immaginarsi come un’escrescenza del flusso di un più ampio discorso condotto con diversi mezzi nello sviluppo dell’epica, canto dopo canto. Si tratta di un ampio spettro di modalità che corrisponde alle molte occasioni dove accade di incontrare nell'Iliade una drammatizzazione problematica dei temi etico-politici presenti nel poema. Limitandosi al lato umano ed escludendo le parallele discussioni olimpiche, si va dalle macro-sezioni narrative, quali i racconti della contesa nel libro primo, della gravissima questione d’autorità nell’esercito che è la peira in Il. 2,[6] del tentativo fallito di piegare Achille in Il. 9 o della riconciliazione di questi con Agamennone in Il. 19; a sezioni d'ampiezza più limitata ma di pari importanza quali sono le diverse occasioni di 'consiglio/discussione' che si svolgono da ambo le parti, spesso in una situazione di precisa corrispondenza (cfr., per parte achea, Il. 7. 316-344, 10.194-254, 14.27-134; per parte troiana Il. 7.345-379, 8.489-541, 10.299-331, 13.725-753, 17.140-187, 18.243-313); fino ad episodi più circoscritti e spesso tra loro collegati da precisi richiami testuali, quale ad esempio è il caso della discussione sul valore di Diomede, un tema che, dal suo rimprovero da parte di Agamennone nella rassegna in 4.364 ss., recuperato (dopo le imprese dell'eroe in Il. 5 e 8) durante l’assemblea in 9.32 ss., si sviluppa nella scelta del Tidide d'incaricarsi dell'impresa notturna in 10.220 ss., fino alla sanzione definitiva del suo valore buleutico in 14.110 ss.[7] Questa sommaria rassegna quantitativa non rende certo giustizia ad un tema tra i più spinosi per la critica omerica. Conviene ora soffermarsi su cosa possa definirsi 'politica' nell'Iliade.

Per lungo tempo lo studio di questa linea di discorso omerica è stato fortemente limitato da alcuni approcci critici fortemente radicati, facenti capo in definitiva ad importanti aspetti del sostrato culturale degli studiosi novecenteschi.[8] Questi approcci hanno avuto come riferimento da un lato una concezione limitante della possibilità caratteriali dei personaggi omerici, in riferimento ai loro valori e alla loro etica, dall'altro una prassi piuttosto rigida nel tentativo di definire qualitativamente le relazioni tra questi stessi personaggi quando essi mostrano di discutere temi che li riguardano a livello comunitario. Al di là della perniciosa influenza del primo aspetto sul secondo, si può notare come in sostanza l'abbaglio metodico si trovi nell'approccio evoluzionistico, e in ultima analisi positivista: si guarda ai personaggi omerici come momenti arcaici di uno sviluppo che porterà alla personalità completa e autocosciente, e si vuole rintracciare questa evoluzione già all'interno del mondo greco, nello spazio di un paio di secoli;[9] si guarda alla 'società omerica' come se dovesse essere specchio di uno stadio storico in evoluzione, che porterà alla formazione della polis.[10] Si tratta di tentativi di interpretazione che hanno interesse a collocare il dato omerico in un sistema diacronico di storia del pensiero e di storia delle istituzioni, tenendo come punto focale dati posteriori identificati come momenti d'arrivo. E' questa una teleologia che, pur discutibile, trova legittimità in un contesto di studi storici, ma va incontro a gravi problematiche quando si voglia invece utilizzarla per lo studio esegetico dei fenomeni letterari. Essa si risolve infatti nell'applicazione sistematica di modelli psicologici, storico-politici o antropologici che, se possono rivelarsi utili strumenti ancillari da valutare di volta in volta per l'interpretazione dei dati dell'opera, troppo spesso finiscono per sovrapporsi alle ragioni interne del testo, portando a visioni parziali che si pretendono totali, se non ad arenarsi nelle aporie di un dogmatico scetticismo.[11] E’ stata l’applicazione rigida di criteri fondamentalmente estrinseci che ha pregiudicato nell’esegesi degli studi omerici la comprensione di questi fenomeni come facenti parte dell’unico sistema realmente verificabile come rispondente a se stesso: quello letterario. In questo senso negli ultimi tre decenni si sono compiuti dei notevoli passi in avanti, da una parte e dall’altra. Per quanto riguarda la caratterizzazione degli eroi omerici,[12] un forte contributo è venuto proprio dalla rivalutazione di uno studio dei poemi come fatto letterario. La chiave principale di questa tendenza sta nell’attenzione ad un fenomeno sul quale si erano già soffermate le trattazioni platoniche ed aristoteliche.[13] L’alternarsi nei poemi delle parole del narratore e degli interventi diretti dei personaggi mostra una proporzione significativa: nell’Iliade poco meno della metà dei versi è costituita dalle parole dei protagonisti.[14] Le implicazioni di questo dato sono di grande peso a livello narrativo, poiché esso viene a costituire in qualche modo l’impalcatura della vitalità del racconto.[15] L’analisi paziente delle varietà nelle lexeis che si dispiegano di personaggio in personaggio,[16] di occasione in occasione, consente al lettore di entrare nei meccanismi di costruzione dell’azione epica in tutta la loro varietà e duttilità, ad un’ampia gamma di livelli: le interazioni tra i personaggi, le loro reazioni ed evoluzioni a seguito degli eventi, così come i legami significativi istituiti dal narratore tra parti diverse del poema possono essere mostrate nelle loro implicazioni per un’esegesi che voglia tener conto delle tracce lasciate dal narratore stesso nella composizione.[17] La dimensione d’oralità nella quale avveniva la fruizione dell’opera ha fatto spesso tenere ancora in conto una nozione di performance dell’epica, un fattore che doveva essere discriminante per quanto riguarda l’accento posto sulle parole dei personaggi: si tratta di un raffinamento d’impostazione che consente di volgere la giusta attenzione all’incidenza drammatica dei fattori stilistici.[18] Lo studio narratologico, inoltre, ha consentito di innovare e precisare gli strumenti critici d’avvicinamento a questi aspetti, mettendo in luce complessità e polifunzionalità della maniera omerica di tenere le fila del racconto in funzione della mimesis.[19]

È chiaro che lo studio dei discorsi nell’Iliade comporta un ampliarsi delle prospettive critiche e l’apertura di molte strade d’indagine. Oltre alla via di più immediata evidenza, quella cioè che voglia approfondire il dispiegarsi del carattere del singolo personaggio nel corso del racconto, appare molto interessante un tentativo di ricerca per così dire tematico. L’attenzione alla parola degli eroi dell’epica ha stimolato, come di riflesso, un’attenzione al fatto retorico-stilistico. Il passo successivo è costituito dal prendere atto delle molte occasioni nelle quali nei poemi stessi si discute in termini qualitativi dell’atto oratorio e di esso si fa questione, sia da parte del narratore che da parte dei personaggi.[20] Se poi è vero che la presenza dinamica di questa tematica va posta in termini di coscienza letteraria, allora bisognerà ammettere il ruolo che essa può giocare a tre livelli fondamentali, strettamente connessi.

Il primo è quello della poetica, intesa appunto come atto del riflettere sulla propria opera da parte dell’autore: un atto supportato a fortiori sia dall’oggettivo ruolo di primo piano tenuto dall’importanza dei discorsi dei personaggi per la natura dei poemi, sia dall’importanza che Aristotele attribuiva proprio a questo carattere dell’epica omerica quale tratto distintivo e in definitiva determinante la sua superiore qualità.[21] Il secondo livello comporta una revisione del cosiddetto statuto eroico: l’abilità con la parola, la cui consacrazione si svolge nel contesto assembleare, accompagna l’abilità guerriera in uno stretto binomio dalle importanti conseguenze a livello etico. Così come viene posta la questione nell’epica, l’abilità oratoria riconosciuta è l’espressione di un sapere che tiene conto dell’interesse comune, e allo stesso tempo il momento oratorio si configura, nella tensione drammatica, come momento di prova del valore di un personaggio. Di qui il terzo livello, che si muove su di un piano più ampio: l’importanza dell’oratoria per la determinazione delle qualità dei personaggi e per il giudizio sul loro operato tanto da parte degli altri protagonisti quanto, nella prospettiva dell’azione del poema, da parte dell’uditorio, consente di rinvenire, seguendo i passi del poema in cui si dà risalto a questi momenti, dei percorsi di problematizzazione sull’agire dei diversi personaggi, in quanto singoli e in relazione agli altri. Si tratta di percorsi tracciati dal narratore come segmenti all’interno del più grande disegno del poema, e in quanto tali carichi di una valenza significativa non solo rispetto alla maniera compositiva, ma anche quanto alle idealità veicolate, possibili chiavi d’interpretazione di nodi importanti per la totalità del poema stesso.

Sebbene sia quasi esclusivamente in un contesto ‘oratorio’ che si dispiegano nell’Iliade le interazioni problematiche tra i personaggi a proposito delle tematiche che riguardano l’agire comune, non solo a livello militare, è forse questo il tema iliadico che meno ha fatto propri nella critica i benefici influssi di un approccio intratestuale che tenesse adeguatamente conto dell’importanza trasversale dei discorsi in quanto veicoli di istanze in rapporto dinamico rispetto al contenuto del poema. Questo probabilmente si deve al peso che qualsiasi interpretazione della politica nell’Iliade recherebbe con sé in rapporto al problematico processo evolutivo delle istituzioni politiche nella antica Grecia storica, come poco sopra si è discusso.

In ogni caso, un contributo importante e un ottimo punto di partenza per studiare questo fenomeno è rappresentato dalla recente opera di D. Hammer.[22] Lo studioso americano prende metodicamente le distanze dai precedenti tentativi di guardare alla ‘politica’ nell’Iliade da un punto di vista strutturale; non bisognerà più tentare di individuare ‘strutture’ e ‘funzioni’ di un sistema fisso a cui fare riferimento, per poi negare che vi sia reale azione politica sulla base dell’assenza di queste; piuttosto converrà partire dal dato di fatto che nel poema i momenti di aggregazione e di discussione dei nodi concernenti il reciproco rapportarsi e l’agire comune sono costanti e di diverso tipo, più o meno comprensivi, più o meno determinanti rispetto alla trama del poema, più o meno inclusi in un qualche tipo di ritualità che ne sancisca la valenza ufficiale.[23]

Nonostante i pregevoli risultati dell’indagine perseguita su queste basi, rimane comunque in questo studio una certa tendenza all’astrazione rispetto alle linee interne al poema, oltre che una pervasività dell’elemento politico portata talvolta troppo avanti, a discapito di altre tematiche.[24] Ma quel che soprattutto sembra vada integrato in questa prospettiva è proprio un’attenzione alla parola dei personaggi come momento fondante e determinante l’atto politico; per una comprensione più profonda delle dinamiche politiche e delle idealità che ad esse sottendono nel disegno del narratore, è infatti necessario tener presente il valore che a più riprese nel corso del poema viene attribuita alla capacità oratoria di per sé. Questa attribuzione di valore porta nella direzione di una forte differenziazione stilistica e tipologica dei discorsi in base al carattere dell’oratore e al momento drammatico: un dato prezioso per cogliere lo specifico di ogni momento politico, in sé e in relazione ad altri episodi connessi, quando non al complesso del poema.

 

Posizioni d’autorità, posizioni di concordia

Per illustrare forma, valore e implicazioni delle due direttive dei discorsi di Nestore alle quali si accennava, verranno inizialmente presi in considerazione i discorsi tenuti in assemblea nel primo e nel nono libro del poema.[25] Si tratta di due situazioni analoghe per più versi. In entrambi i casi Nestore svolge una funzione mediatrice tra due posizioni inconciliabili,[26] intervenendo dopo due rheseis fra loro contrapposte, dalle quali sostanzialmente emerge la posizione del problema dell’autorità di Agamennone. Di entrambi i discorsi il destinatario ultimo è proprio l’Atride, e in entrambi si vede bene come la volontà di confermarne il ruolo egemonico si accompagni ad un tentativo di mostrarne gli errori per correggerne in qualche modo la linea di condotta.

Dopo aver considerato le implicazioni ideologiche e politiche che emergono dalle due situazioni a proposito del problema d’autorità che coinvolge Agamennone, mi concentrerò sulla funzione che le modalità gnomiche assolvono nella strutturazione di questi discorsi di Nestore a livello retorico. Si vedrà che esse possono utilizzarsi come chiavi d’interpretazione, per noi, delle scene stesse e dell’agire dei personaggi; ma che si configurano allo stesso tempo come momenti di riflessione interni al poema sulle medesime importanti tematiche politiche che sottendono trama e ideologia.

In Il. 1.254-283 Nestore pronuncia un’orazione che spesso è stata vista come esemplare per equilibrio e da molti è stata ammirata per la sua sofisticata struttura formale.[27] La presentazione del vecchio oratore che la precede, indirizzata com’è a sottolinearne la qualità e la piacevolezza della parola, evidenzia da parte del narratore una certa volontà programmatica di mettere in luce, alla sua prima apparizione, l’abilità di colui che a più riprese nell’Iliade sarà riconosciuto come il maestro della parola in consiglio.[28] Un’abilità richiesta peraltro dall’estrema delicatezza della situazione. Achille ha infatti appena gettato a terra lo scettro, simbolo del potere e dell’autorità regale (nonché strumento che accomuna i re, scettrati appunto, e ne sancisce il momento di confronto),[29] accompagnando questo gesto con un discorso volto a comunicare all’assemblea come per lui l’autorità e il complesso di valori di tipo politico di cui lo scettro è simbolo siano decaduti:[30] l’oltraggio subito denota da parte di Agamennone il mancato rispetto di quella dinamica politica che lo scettro sancisce[31] (questo il senso dell’eziologia presente nel discorso di Achille, segnata però da un andamento precipitoso che ben si adatta allo stato d’animo del personaggio). La reazione di Agamennone (dall’altra parte smaniava l’Atride),[32] espressa con un solo verbo ma resa dinamica dalla fulminea nota spaziale dell’avverbio, si pone lessicalmente nel campo della stessa ira di Achille. La contrapposizione è, da un punto di vista politico,[33] al culmine. Non appare dunque casuale il momento dell’entrata in scena di Nestore, né la natura della sua presentazione. Il discorso del personaggio, la cui veneranda età è garanzia di sapienza politica, ruota tutto intorno ad un punto di vista che pone al centro del suo interesse il bene della comunità.

La struttura di questo discorso ha attratto l’interesse di numerosi studiosi, i quali sono concordi nell’indicarne la composizione circolare (Ringkomposition).[34] L’apostrofe ai contendenti, in due parti, è infatti intervallata dalla digressione paradigmatica (1. 260-73) sul passato mitico di Nestore.[35] Se quest’ultima veicola per analogia istanze politiche, è però anzitutto un espediente che esalta l’autorità dell’oratore stesso. Troviamo quindi le posizioni politiche espresse in maniera più esplicita nelle apostrofi vere e proprie. Cerchiamo di analizzarle nel dettaglio.

 

L’esordio si costituisce sul compianto patetico, simile per più aspetti a quello che si trova nella rhesis di 7. 124-160;[36] esso fa leva sul sentimento di vergogna, da suscitarsi con un ampiamento della prospettiva sulla contesa, tale da andare oltre quella individuale dei due protagonisti per prendere in considerazione le conseguenze che il loro comportamento avrebbe per l’esercito intero - si noti la personificazione iperbolica, ipotizzando una reazione gioiosa e quasi divertita da parte troiana.[37] Raffinati fattori stilistici evidenziano nelle parole di Nestore da un lato questa volontà di allargare la prospettiva nella direzione dell’interesse generale (a questo volgono le α in ictu di 1. 254), dall’altra quella di mostrare come i ruoli dei due contendenti si completino tra loro come parte di una stessa unità.

Una coppia di esametri come 1. 257-58 (se tanto sapessero che voi due contendete, / voi che siete i primi dei Danai per consiglio e in battaglia),[38] è significativa in questo senso. L’elemento fondamentale da considerare è il prezioso ordo verborum. In 1. 257 pronome e verbo incorniciano il verso, espressionisticamente indicando la divisione,[39] aggravata dalla parola pesante in fine verso, nonché dalla scelta reiterata di lunghi vocalismi in iato (-ῶϊ-, -οία-, -οιϊ-) e dalle allitterazioni, prima della serie dentale- labiale (τάδε πάντα πυθοίατο), poi delle nasali nel verbo finale. In 1. 258 si trova in una certa misura una prima ricomposizione del conflitto, basata su una definizione di ruoli. Il tipico concetto iliadico che vede l’attività buleutica e quella guerriera come due facce dell’eroismo trova qui la sua prima formulazione.[40] L’ambiguità dei termini di questa divisione è funzionale alle intenzioni dell’oratore. Ad intendere la preminenza nella facoltà decisionale come attribuita ad Agamennone, ad Achille in quella guerriera, si avrebbe un primo tentativo di conferma dell’autorità poilitica dell’Atride e una costatazione dell’importanza fondamentale del Pelide, simile a quella espressa più avanti nella seconda apostrofe. D’altro canto asserire che entrambi condividono l’eccellenza nelle prerogative eroiche fondamentali volgerebbe ancora a sottolineare la gravità di un conflitto tra i membri piú notevoli dell’esercito. In ogni caso la struttura del verso, tramite la posizione centrale in cesura del sostantivo indicante la comunità, la funzione distributiva del περὶ e l’evidenziazione delle facoltà eroiche tramite cesura e posizione in fine verso, è base per un’esaltazione della concordia, e lo rende un esametro carico di forza.[41]

Nella terza parte del discorso, che ne costituisce la perorazione (1. 275-84),[42] Nestore può rivolgere ai principi Achei i suoi consigli, dopo aver affermato la propria autorità di consigliere con la digressione paradigmatica precedente. Questi consigli si configurano, significativamente, in modo diverso per l’uno e per l’altro: se ad Achille (1. 77-78) rivolge un rimprovero di carattere generale, riferito a un atteggiamento, a un certo modo di porsi di fronte al detentore del potere regale che egli ha manifestato e che deve cessare, ad Agamennone, invece (1. 75-76), chiede di correggere non un comportamento, ma una atto ben preciso da lui compiuto, qualificato come errato, indicato come tale perché in contrasto con un precedente atto della comunità e pertanto fuori dalle sue prerogative regali.[43] È chiaro perció che questi due consigli non hanno lo stesso peso, ed è chiaro che, nonostante la reazione di Achille sia giudicata negativamente, la ragione è nelle parole di Nestore dalla parte del Pelide, poiché è all’Atride che viene chiesto di fare un passo indietro.

L’abilità di Nestore, o per meglio dire del poeta, ha tratto in inganno diversi interpreti moderni.[44] Ma la delicatezza della situazione e soprattutto la decisa volontà di non scalfire l’autorità regale di Agamennone, e anzi di confermarla come necessaria al proseguimento dell’impresa comune (un fine che ben mostra l’esordio dell’orazione), portano l’oratore a strutturare la sua perorazione in modo sottile, incastonando per così dire la sostanza del consiglio (che sfavorisce l’Atride) nel più ampio discorso sull’importanza e sulle prerogative della regalità. Persegue e raggiunge in questo modo i due obiettivi fondamentali del suo discorso: esprimere anzitutto la sua opinione sulla questione di Briseide, prevedendo che la decisione di Agamennone, se portata a compimento, avrà gravi conseguenze per tutto l’esercito acheo; difendere e confermare inoltre l’autorità del capo della spedizione, messa in crisi dal suo stesso errore e dalla reazione, eccessiva, di Achille. Per osservare nel dettaglio quel che è piaciuto definire incastonamento, vale la pena di citare per esteso la perorazione:

 

(1. 275-84):[45]

µήτε σὺ τόνδἀγαθός περ ἐὼν ἀποαίρεο κούρην, 275

ἀλλἔα, ὥς οἱ πρῶτα δόσαν γέρας υἷες Ἀχαιῶν·

µήτε σὺ Πηλείδη ’θελ’ ἐριζέµεναι βασιλῆϊ

ἀντιβίην, ἐπεὶ οὔ ποθ’ ὁµοίης ἔµµορε τιµῆς

σκηπτοῦχος βασιλεύς, ᾧ τε Ζεὺς κῦδος ἔδωκεν.

εἰ δὲ σὺ καρτερός ἐσσι, θεὰ δέ σε γείνατο µήτηρ, 280

ἀλλ’ ὅ γε φέρτερός ἐστιν, ἐπεὶ πλεόνεσσιν ἀνάσσει.

Ἀτρεΐδη, σὺ δὲ παῦε τεὸν µένος· αὐτὰρ ἔγωγε

λίσσοµ’ Ἀχιλλῆϊ µεθέµεν χόλον, ὃς µέγα πᾶσιν

ἕρκος Ἀχαιοῖσιν πέλεται πολέµοιο κακοῖο.

 

 

E tu a costui, ché sei valoroso, via non portar la fanciulla, 275

lasciala invece, ché gliela diedero in premio i figli degli Achei.

E tu, Pelide, non voler contendere col re

violentemente, ché non già ugual parte d’onore prese

il re scettrato, e a lui Zeus diede il vanto.

Ché se tu sei più forte, madre divina ti generò, 280

questi è però più potente, perché di più genti è sovrano.

Ma tu, figlio d’Atreo, tu cessa il tuo furore: ché io stesso

ti prego di frenar contro Achille la bile, lui che grande per tutti

baluardo per gli Achei sta contro la guerra funesta.

 

Non è questa la sede per compiere un’analisi retorico-stilistica di dettaglio, ma solo per alcune considerazioni che la presuppongono. Sopra ho scritto che la sostanza del consiglio è incastonata all’interno del tentativo di conferma dell’autorità regale di Agamennone. Questo sarà corretto solo a livello logico, poiché nella sostanza oratoria sono le parole rivolte ad Achille (sulla regalità) ad essere incastonate in quelle rivolte ad Agamennone (sul merito della questione di Briseide).


Come si vede facilmente, l’oratore dedica lo stesso numero di versi (5) ad entrambi i contendenti. Spezza però quelli rivolti all’Atride, laddove gli esametri centrali rivolti al Pelide (1. 277-281) si risolvono in un discorso che in ultima analisi riguarda Agamennone stesso, o meglio Agamennone in quanto detentore del potere regale. La funzione di questi versi si svolge su tre piani: il primo ha l’obiettivo immediato di moderare effettivamente Achille, ricordandogli di stare al suo posto e di dare al re la giusta deferenza; il secondo piano si muove nella direzione di una conferma in termini assoluti, divini (1. 279b) e terreni (1. 281b), dell’autorità regale stessa: una posizione che risponde alla messa in crisi generata dalla contesa in sé, aggravata dall’errore di Agamennone e sancita dal gesto, appena compiuto da Achille, di gettare lo scettro a terra; il terzo livello retorico svolge una vera e propria captatio benevolentiae nei confronti del sovrano che dovrà tornare sui suoi passi. Da questo punto di vista, oltre che a livello logico, parlare di incastonamento nel senso di cui sopra sembra anche rendere conto dell’effetto complessivo della perorazione. Un effetto veicolato da una parte dalla posizione iniziale e dalla concisione della direttiva contro l’atto dell’Atride (1. 275-76), seguita e bilanciata dal maggior respiro del periodo successivo sulla regalità, che si muove su tre versi; dall’altra dal fatto che nell’appello finale (1. 282-84), la revisione della propria decisione è motivata da una preghiera (ancora una movenza volta alla conferma dell’autorità), e dalla considerazione del valore di Achille per la totalità dell’esercito, e non già, come in 1. 275-276, dalla presa d’atto che si tratta di una decisione ingiusta politicamente.

Vorrei ora soffermarmi brevemente sulle modaltà stilistiche con cui vengono espresse in questo discorso le posizioni che possiamo definire politiche, nel senso generale di affermazioni che veicolano giudizi di valore e idealità a proposito del reciproco rapportarsi dei personaggi in una prospettiva comunitaria, spesso in prospettiva assiologica. Si vedrà che queste modalità presentano una certa costanza, anche al di là del passo in questione.

Come si vede, questa perorazione di dieci versi è costituita da quattro periodi, di due tipologie alternate: quelli da due (1. 275-76; 1. 280-81) e quelli da tre versi (1. 277-79; 1. 282-84). Concisione e incidenza caratterizzano i distici, maggior diffusione e musicalità i periodi in tre versi. È ai distici che vengono affidate istanze definitorie di natura chiusa, basate su una modalità di contrapposizione rigida, sigillate da una frase causale: così il tentativo di correzione dell’atto di Agamennone (1. 275-76), come anche la definizione assiologica della sfera di entrambi che dovrebbe moderare Achille (1. 280-81). Ai tre versi si affidano strutture più complesse, ma con lo stesso grado di omologia: una frase imperativa, seguita da una causale[46] e da una relativa specificante: così Nestore tratta del potere del re, derivato da Zeus (1. 277-79), e del valore di Achille, necessario a tutti gli Achei (1. 282-84). Nelle strutture a due vengono dunque affrontate le questioni precipue della contesa, nelle strutture a tre se ne rende conto più diffusamente in termini assoluti. Degno di nota è che tutti i versi dei distici, così come tutti i versi conclusivi delle strutture a tre, abbiano una struttura di cola molto equilibrata (con forti cesure centrali, di norma femminili), e fondamentalmente bipartita, per rafforzare la conclusione. Particolarmente interessante appare il distico 280-281, dove la contrapposizione è espressa con serrato parallelismo: ad un’identica struttura dei cola si accompagna la corrispondenza dei due comparativi, in identica posizione metrica. A rafforzare il movimento in crescendo, funzionale a dare più luce ad Agamennone, di cui si occupa il secondo verso, contribuisce la differenza d’intensità delle causali (δέ, ἐπεὶ), e l’allitterazione finale di πλεόνεσσιν ἀνάσσει. Questa marcatura eccezionale evidenzia l’importanza del distico per il discorso da un punto di vista concettuale, e ne determina la posizione di assoluta rilevanza.

 

Lasciando per il momento il libro primo, vediamo come, alla distanza di circa un terzo del poema,[47] al principio del libro nono si trovi un’altra assemblea, nella quale si osservano e si discutono in termini politici le conseguenze dell’errore di Agamennone. L’assemblea degli achei che si svolge in 9. 9-78 fa da pendant a quella troiana della fine del libro precedente (8. 479-542).[48] Ad entrambe peraltro fa da sfondo il consiglio dei numi che precede quello del campo troiano (8.438-84), dove Zeus sancisce, a dispetto delle proteste di Era ed Atena, che la sorte dell’esercito invasore continuerà a volgere al peggio finché Achille non tornerà a combattere, confermando così anche per i giorni a venire il favore accordato ai troiani all’inizio dello stesso libro libro ottavo.[49] Il narratore sistema le cose in modo da contrapporre nettamente l’esaltazione di parte troiana alla disperazione argiva al calar della notte, che genera reazioni opposte. Nelle sue parole, il contrasto è reso esplicito, tra il secondo consiglio divino e l’assemblea troiana, in 8. 487-88, e poi nelle similitudini, con la serena visione alla fine dell’ottavo libro (8. 555 ss.), degli innumerevoli fuochi troiani che illuminano la piana,[50] paragonati alle stelle, alla quale si oppone l’immagine della burrasca (9. 1-9), che attraversa i cuori dei capi achei. Un altro forte motivo di contrapposizione si può trovare nella dinamica stessa delle due assemblee. In quella troiana il dominio di Ettore è assoluto: un capo forte, determinato e sicuro esalta la sua platea, che risponde con un boato di approvazione unanime all’unico discorso.[51] Al contrario, nella dolorosa assemblea degli invasori il capo è sfiduciato fino alle lacrime, e al suo discorso risponde un silenzioso sgomento. Viene poi contestato con parole forti da un eroe giovane come Diomede, e a stento Nestore riesce a mantenerne salda l’autorità.

Quel che interessa è la vividezza della drammatizzazione, ottenuta tramite i discorsi dei protagonisti. Ancora una volta, come nel primo libro, vediamo come da una situazione iniziale segnata da un forte pathos, espressivo della volontà di autoaffermazione dei protagonisti, si passi a considerare il problema in termini più ampi e, specificamente, politici, grazie all’intervento del saggio Nestore. Interesse dell’oratore è il ristabilimento di una dimensione assiologica d’autorità basata sulla concordia, condizione imprescindibile per una possibilità d’azione comunitaria.[52] Questa drammatizzazione è ottenuta anche tramite il richiamo, nelle parole dei protagonisti, ad episodi precedenti del poema che ne problematizzavano il reciproco rapportarsi. Il discorso disperato[53] di Agamennone è in parte identico[54] alla prima metà di quello indirizzato alle truppe durante la peira. La replica di Diomede, che si svolge in realtà su di un piano piuttosto personale e individualizzante, come non mancherà di sottolineare Nestore, presuppone lo sgarbo rivoltogli proprio dall’Atride durante la rassegna in 4. 364-421, dove veniva accusato di viltà e di inferiorità guerriera rispetto al padre: un episodio determinante nella sua estensione per preparare l’aristia del Tidide nel quinto libro. Egli, che allora aveva taciuto, si concede ora di rispondere, ed accusa senza mezzi termini Agamennone di non avere i caratteri di un degno sovrano. 9. 37-39:

 

σοὶ δὲ διάνδιχα δῶκε Κρόνου πάϊς ἀγκυλοµήτεω

σκήπτρῳ µέν τοι δῶκε τετιµῆσθαι περὶ πάντων,

ἀλκὴν δοὔ τοι δῶκεν, τε κράτος ἐστὶ µέγιστον.

 

A te divisi doni diede il figlio di Crono pensiero complesso:

per lo scettro ti diede che fossi onorato fra tutti,

valore non ti diede, ch’è il potere piú grande.

 

La presenza continua, quasi ossessiva, nel discorso di Diomende del campo semantico dell’ἀλκή[55] porta ad intendere primariamente questo segmento come inquadrato nel discorso personale del Tidide, piccato contro Agamennone per l’ingiuria subita e desideroso di rivalsa. Ma è chiaro che nei termini in cui l’accusa è rivolta, privi della forte animosità che aveva contraddistinto gli insulti di Achille durante la contesa, essa è senza precedenti per concisione ed equilibrio sintattico. Si tratta di una formulazione in negativo delle qualità personali delle quali un re deve rendere conto, e in quanto tale si pone sulla stessa linea della problematizzazione posta dalla contesa del primo libro e perseguita nel secondo, con la differenza che allora si trattava dell’uso improprio delle prerogative regali rispetto agli altri príncipi, mentre qui viene messo in questione il valore sostanziale dell’uomo Agamennone rispetto alla sua funzione. Come nella contesa, questa messa in crisi della figura regale viene veicolata dalle parole di un protagonista che è mosso a parlare in questi termini da un affronto subito personalmente. Perciò né nelle parole di Achille né in quelle di Diomede,[56] a motivo del ruolo che il narratore gli attribuisce nella finzione drammatica, quello cioè di rispondere a tu per tu, si ritrova una posizione netta del problema in termini interamente politici. Spetta infatti a Nestore, in entrambi i casi, il compito di provare a frenare l’Atride, in vista delle conseguenze negative per tutto l’esercito derivanti dalla sua condotta, e sempre a lui spetta una formulazione di questo tipo. Il narratore presuppone infatti nel personaggio di Nestore una più ampia consapevolezza delle implicazioni che avrebbero, per la riuscita dell’impresa comune, tanto l’oltraggio ad Achille, quanto un atteggiamento di disperata rinuncia di fronte alle avversità belliche. Anche nell’assemblea del nono libro l’oratore di Pilo si trova nella delicata situazione di chi, tenendo a mente il comune fine, deve correggere le volontà del sovrano, e ristabilirne allo stesso tempo l’autorità minacciata dalle posizioni di un altro protagonista che ne ha compreso gli errori ma, mosso da un impulso individualistico, ne ha soltanto messo in crisi il ruolo egemone. Vediamo dunque come nelle parole di Nestore vengano poste esplicitamente queste problematiche in termini politici, all’interno della più generale strategia oratoria.

È ancora utile il confronto con il contesto del primo libro. La situazione in cui Nestore prende la parola si configura come un momento di impasse:[57] si verifica una contrapposizione tra l’assemblea stessa, che acclama il discorso di Diomede, e il sovrano, che si ritrova isolato. In queste condizioni non è possibile procedere ad alcuna decisione che tolga l’esercito dalla penosa situazione in cui si trova. Per ovviare a questa contrapposizione, Nestore loda Diomede, per poi sottolineare però le mancanze del suo discorso da un punto di vista strategico: non sei giunto al punto del discorso (9. 56b). Per ottenere questo risultato, dimostrando al Tidide che il suo statuto eroico è pienamente riconosciuto, sia in guerra che in consiglio, l’oratore si avvale di quella strategia assiale che si è vista già nel discorso del primo libro:

 

(9. 53-59):

Τυδεΐδη, περὶ µὲν πολέµ ἔνι καρτερός ἐσσι,

καὶ βουλῇ µετὰ πάντας µήλικας ἔπλευ ἄριστος.

οὔ τίς τοι τὸν µῦθον ὀνόσσεται ὅσσοι Ἀχαιοί, 55

οὐδὲ πάλιν ἐρέει· ἀτὰρ οὐ τέλος ἵκεο µύθων.

µὲν καὶ νέος ἐσσί, µὸς δέ κε καὶ πάϊς εἴης

ὁπλότατος γενεῆφιν· ἀτὰρ πεπνυµένα βάζεις

Ἀργείων βασιλῆας, ἐπεὶ κατὰ µοῖραν ἔειπες.

 

Tidide, nella battaglia sei forte di molto,

e sei in assemblea tra tutti i coetanei il migliore.

Nessuno la tua parola biasimerà, quanti sono gli Achei, 55

né parlerà in contrario; però del discorso non sei giunto alla fine.

E sei ben giovane, certo, potresti essere mio figlio,

l’ultimo nato; pure saggezze tu dici

ai re degli Argivi, poichè hai parlato opportuno.

 

 

 

In questo senso si può notare come l’esordio del discorso, con l’apostrofe diretta a Diomende, in particolare nei segmenti comprendenti il distico 9.53-54, nonché 9.57-58a, si ponga stilisticamente sulla stessa linea di 1.280-81, con contrapposizioni piuttosto serrate tra comparativi e superlativi.[58] Oltre all’identità dell’adonio finale del v. 53 con il secondo e il terzo piede di 1.280, si noti che il v. 9. 57, in particolare, ha struttura identica allo stesso 1.280, con ἐσσί in forte cesura, seguito dal medesimo δέ causale. Nel periodo in 9.57-9, inoltre, si può riconoscere lo stesso flusso in tre versi che in precedenza[59] ho evidenziato essere esplicativo dell’istanza contenuta nel distico che lo precede.

Dopo la solita autoaffermazione di autorità sulla base della propria vecchiezza[60] in 9. 60-62, formulata con i medesimi stilemi dei versi precedenti, Nestore giunge al cuore della sua orazione. Ecco la gnome contenuta in 9. 63-64:

 

ἀφρήτωρ ἀθέµιστος ἀνέστιός ἐστιν ἐκεῖνος

ὃς πολέµου ἔραται ἐπιδηµίου ὀκρυόεντος.

 

senza fratria, senza giustizia, senza casa è colui

che la battaglia brama intestina, crudele.

 

Spia della centralità funzionale di questo distico, oltre alla collocazione, è la studiata costruzione e in definitiva il tono elevato, conferito al v. 63 dal triplo omeoarco e dall’allitterazione che sfiora il triplo omoteleuto, al v. 64 dal forte iperbato e dallo iato finale, entrambi volti a evidenziare l’aggettivo. Ma è soprattutto a livello concettuale che questa gnome trova la sua posizione centrale: segna infatti il distacco rispetto al discorso di Diomede, ed è intesa ad indirizzare verso un nuovo corso di concordia la discussione.[61] Se essa si riferisce, ad un primo livello, a Diomede stesso, di fatto fornisce anche il retroterra ideologico all’istanza che verrà rivolta poco dopo ad Agamennone nel contesto del consiglio ristretto nella tenda dell’Atride: è la lotta intestina a pregiudicare la buona riuscita dell’impresa comune, e per uscire dalla crisi andrà cercata una riconciliazione con Achille.[62] Dopo la gnome vengono subito dati, nella nuova prospettiva, e in versi che fungono in qualche modo da cesura (9. 65-68b), dei consigli di tipo pratico a proposito dello schieramento delle sentinelle.

A questo punto Nestore si rivolge ad Agamennone, e lo stile si innalza di nuovo. La proposta di un consiglio più ristretto, nel quale sarà più opportuno effettuare la correzione del comportamento dell’Atride, diviene occasione per una conferma dell’autorità del re, tramite la lode convenzionale delle sue sostanze e prerogative. Precede l’elenco, che echeggia ma differisce significativamente da quello di Tersite in 2. 226 ss., un altro distico stilisticamente significativo (9. 69-70), dove si ritrovano le figure tipiche di questo tipo di posizione.

 

(9. 69-73):

Ἀτρεΐδη σὺ µὲν ἄρχε· σὺ γὰρ βασιλεύτατός ἐσσι.

δαίνυ δαῖτα γέρουσιν· ἔοικέ τοι, οὔ τοι ἀεικές. 70

πλεῖαί τοι οἴνου κλισίαι, τὸν νῆες Ἀχαιῶν

µάτιαι Θρῄκηθεν ἐπεὐρέα πόντον ἄγουσι·

πᾶσά τοί ἐσθὑποδεξίη, πολέεσσι δἀνάσσεις

 

Atride, tu pensa a comandare: tu sei il re supremo.

Offri un pasto agli anziani; s’addice, non è disdicevole. 70

Piene di vino hai le tende, che le navi degli Achei

giornaliere dalla Tracia sull’ampio mare trasportano:

ogni accoglienza è tua, poichè su molti tu regni.

Si notino, al v. 69, il superlativo in chiusura,[63] preceduto dal vocativo reiterato del pronome, con un accenno di quella movenza innologica che verrà sviluppata nel discorso agli anziani che segue; al v. 70 la figura etimologica e la paronomasia. Un’idea di ampiezza è veicolata dall’uso della formula ἐπεὐρέα πόντον,[64] nonché dalla posizione di evidenza a inizio verso[65] degli aggettivi πλεῖαί e πᾶσά, che si richiamano anche tramite la ripetizione di τοί, ancora di movenza innologica. Appare infine degno d’interesse che, nella chiusura della serie di versi dedicata all’esaltazione del potere di Agamennone si ritrovi un sintagma allitterante (πολέεσσι δἀνάσσεις) che richiama quello visto in 1. 281b (πλεόνεσσιν ἀνάσσει), con la stessa funzione stilistica e concettuale.

Quando poi si riunisce, dopo il banchetto, il secondo consiglio (9. 89 ss.), come già prima del discorso di Nestore nella contesa, il narratore ne sancisce in esordio l’autorità (9. 93-95). Prima di esporre il suo piano, che mostrerà di nuovo gli errori di Agamennone, Nestore si perita di iniziare il discorso con una forte movenza innologica (9. 96-99), alla quale segue l’ennesima definizione del suo potere regale e, poi, l’appello alla concordia e alla persuasione:

 

 

 

(9. 96-102):

Ἀτρεΐδη κύδιστε, ἄναξ ἀνδρῶν Ἀγάµεµνον

ἐν σοὶ µὲν λήξω, σέο δἄρξοµαι, οὕνεκα πολλῶν

λαῶν ἐσσι ἄναξ καί τοι Ζεὺς ἐγγυάλιξε

σκῆπτρόν τἠδὲ θέµιστας, ἵνά σφισι βουλεύῃσθα.

τώ σε χρὴ περὶ µὲν φάσθαι ἔπος ἠδἐπακοῦσαι, 100

κρηῆναι δὲ καὶ ἄλλῳ, ὅτἄν τινα θυµὸς ἀνώγῃ

εἰπεῖν εἰς ἀγαθόν· σέο δἕξεται ὅττί κεν ἄρχῃ

 

Splendido Atride, signore di genti Agamennone,

in te finirò, da te comincerò, poichè di molti

popoli sei signore e a te Zeus ha affidato

lo scettro e le sentenze, perchè tu ad essi provveda.

Perció bisogna che tu dica parola e l’ascolti, 100

che tu dia retta anche a un altro, se il cuore spinge qualcuno

a parlar per il meglio: sarà tuo quel ch’egli comincia.

 

La formula iniziale, che copre interamente il verso, spicca nella sua convenzionalità rispetto alle semplici apostrofi patronimiche con cui sia Diomede (Ἀτρεΐδη, 9. 32) che Nestore (Τυδεΐδη, 9. 53) avevano iniziato i loro discorsi precedenti.[66] La movenza innologica si esplica nel poliptoto del pronome, e nella nota, peraltro invertita, sul fatto che egli sarà principio e fine del discorso. La conferma dell’autorità passa ancora attraverso una sanzione terrena, con l’evidenziazione della quantità di coloro che sono soggetti al potere regale,[67] ed una divina, tramite la derivazione del potere da Zeus attraverso lo scettro e le themistai da amministrare.[68] È questa probabilmente la sanzione più esplicita del potere regale di Agamennone da parte di Nestore. Ma si tratta di un potere assoluto? In effetti i versi che seguono segnano una sfumatura diversa. La conferma dell’autorità messa in crisi non è fine a se stessa; è bensì presupposto funzionale alla possibilità dell’agire comune in vista della risoluzione della situazione critica dell’esercito e delle sorti della spedizione, una situazione derivata da un laceramento interno, causato proprio da Agamennone. Perciò i vv. in 9. 100-102 fondono l’istanza d’autorità riferita alla parola di Nestore con un completamento della definizione delle funzioni regali che va nella direzione della concordia e di una dinamica decisionale di tipo collegiale. Questo è mancato ad Agamennone durante la contesa, sia nei confronti di Achille che di Nestore stesso (cfr. 9. 109-11), di cui non aveva ascoltato il consiglio. Le parole di Nestore, nel riconfermare l’autorità regale e nel proporre un piano d’azione, si configurano come una vera e propria posizione politica delle facoltà e dei limiti della regalità, all’interno del dinamico contesto drammatico. La struttura ad anello della prothesis sigilla questa istanza, ricordando che ascoltare chi sappia parlare per il bene (εἰπεῖν εἰς ἀγαθόν) porterà frutti allo stesso sovrano, forte della sua posizione: σέο δἕξεται ὅττί κεν ἄρχῃ (sarà tuo quel ch’egli comincia).

 

Conclusioni

I temi politici analizzati si concentrano intorno alla figura di Agamennone, la cui regalità messa in discussione è tra le conseguenze più notevoli della contesa con Achille. Una conseguenza che viene sviluppata a pieno nel secondo libro del poema, e che sottende in qualche modo la disfatta dell’esercito invasore; essa si verifica, con alterne vicende ma con progressione costante, fino al momento dell’aristia di Patroclo nel sedicesimo libro, il momento che determina, di fatto, il ritorno attivo di Achille nell’esercito. La messa in crisi dell’autorità di Agamennone trova nel poema un suo momento di protagonismo assoluto proprio nel corso delle assemblee, momento politico per eccellenza. Con l’analisi della perorazione del discorso ai contendenti nel corso della contesa che avvia il poema, si sono individuate le posizioni politiche di Nestore al riguardo. Particolarmente interessante è risultato poi il contesto del nono libro, col suo fitto susseguirsi di posizioni in un momento in cui si acutizza la forte crisi di potere, direttamente derivata dai fatti narrati nel primo canto. In questa occasione, l’utilizzo massiccio da parte del narratore dei discorsi dei personaggi mette in scena diversi punti di vista, e traduce il problema politico in fatto letterario e specificamente drammatico. Le posizioni dei vari personaggi riflettono la caratterizzazione generale che ognuno di essi è venuto portando con sè nel corso del poema: lo si è visto, oltre che naturalmente per Nestore, nel caso di Diomede. La caratterizzazione si fa forte di episodi precedenti nei quali determinati aspetti del carattere e della posizione eroica, gerarchica, umana erano stati messi in luce nel reciproco rapportarsi delle figure stesse: casi esemplari, ancora una volta, sono quelli del valore di Diomede, in guerra e in consiglio, e della saggezza e abilità politico- oratoria di Nestore, da connettersi con la sua tarda età.

È dentro il contesto di queste dinamiche letterarie che si sono cercate le posizioni politiche. Si è visto che in una certa misura è prerogativa di Nestore quella di trovare, nella sapienza oratoria, una sistemazione in qualche modo oggettiva delle problematiche politiche. Ma anche queste sono state inquadrate nel ruolo e nel disegno che l’autore persegue tramite i discorsi del suo personaggio. Linee guida di questo disegno sono la volontà costante di tener salda la superiore autorità dell’Atride, e allo stesso tempo di istaurare dinamiche di concordia in vista di un fine condiviso (la riuscita dell’impresa bellica) da perseguire comunitariamente.

La coincidenza di stilemi veicolanti analoghe istanze politiche ha consentito di individuare nelle parole di Nestore una sorta di sistemazione concettuale di questi temi. Lo statuto politico-oratorio della figura di Nestore, che tratta appunto in maniera retoricamente omologa le istanze politiche d’autorità, delinea una figura regale dai contorni ben precisi e sostanzialmente opposti, politicamente, a quelli manifestati da Agamennone nei confronti di Achille. La forza dell’autorità non può prescindere dal perseguimento dell’azione comunitaria, la quale per effettuarsi ha bisogno di concordia e di lungimiranza. Nei confronti di Achille l’Atride ha fatto un uso sconsiderato delle themistai sue prerogative, non solo invadendo lo spazio comunitario (togliendo cioè il dono dei figli degli Achei), ma non tenendo in conto l’opinione dell’assemblea, nella persona di Nestore stesso. Tale opinione, espressa tanto nel discorso ai contendenti, quanto nel corso delle assemblee del nono, può considerarsi un vero e proprio giudizio in termini politici, e perciò si configura come momento di riflessione extradiegetica. È un risvolto garantito da una forma costante della parola che si è vista esprimersi in termini assoluti, spesso gnomici. Da questo punto di vista si può cogliere l’importanza delle parole di Nestore anche al di fuori del contesto drammatico in cui s’inseriscono.

Sarà proprio l’aristia oratoria di Nestore nel poema, il più lungo discorso di tutta l’Iliade,[69] quella che porterà alla svolta tragica nella trama alla quale si accennava, la morte di Patroclo e il ritorno di Achille. Per convincere Patroclo il vecchio di Pilo dispiega tutta la sua capacità, in un discorso che, pur non configurandosi come oratoria d’assemblea, pone comunque al centro i valori della concordia e la prospettiva del fine comune, aberrando l’individualismo e ponendo l’eroismo in una dimensione politica.[70]

 

 

 

BERNARDO BALLESTEROS PETRELLA

Scuola Normale Superiore di Pisa

bernardo.ballesteros@sns.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

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[*] Il presente lavoro è stato concepito e scritto quale prova per il Colloquio di passaggio d’anno (a.a. 2011/12) presso la SNS, e discusso a Pisa, in data 17 Aprile 2012, di fronte a una commissione composta dal prof. G. W. Most (presidente), dal prof. G. Paduano, dalla dott.ssa A. Santoni e dal prof. M. Tulli (relatore). Un ringraziamento va a tutta la commissione, e in particolare al prof. Tulli, che mi ha seguito con grande attenzione e benevolenza. Un ringraziamento affettuoso alla dott.ssa M. V. Pineda, per la sua naturale gentilezza. Naturalmente è mia la responsabilità di quanto sostenuto nelle prossime pagine.

1 Si veda infra, pp. 5 ss.

[2] Questi aspetti dell’oratoria omerica sono da tempo noti alla critica, si veda da ultimo ROISMAN (2007: passim), con bibliografia. Basti pensare, rispettivamente, alla teichoskopia nel terzo libro, alle parole di Fenice ad Achille in Il. 9. 442-43, e al ruolo che ha la parola ornata, dentro o fuori dall’assemblea, nei fondamentali episodi attorno ai quali ruotano interi canti come Il. 1, 2, 9, 19, 23.

[3] Cfr. supra n. 1.

[4] Per un primo approfondimento e bibliografia sullo statuto eroico di Nestore, così legato alla parola ornata, si possono vedere MARTIN (1989: 55-62, 101-112); DICKSON (1995); ROISMAN (2005).

[5] Nel libro 1, solo Nestore e Calcante vengono presentati all’uditorio in modo diffuso, con una presentazione di carattere generale e non legata esclusivamente al contesto (1.68-73). Tenta un confronto tra queste due figure e tra il loro statuto epistemologico DICKSON (1995: 47-64). La dimensione epistemologica di Nestore si basa tutta sulla propria esperienza, come egli stesso fa mostra nei suoi discorsi, in cui sono gli exempla del passato a fungere da paradigmi etici, politici, militari. Un possibile raffronto che ne evidenzia le implicazioni politiche è offerto dal dono di Calliope ai re scettrati in Hes. Th. 79-90: si veda l’ancor utile SOLMSEN (1954: 1-15). Un altro raffronto, utile per la definizione dell’oratoria di Nestore come poetica è Hym. XXV (ad Apollo e alle Muse). Si vedano le parole del Latacz nel suo commento al passo iliadico (LATACZ 2000: 103), peraltro preceduto dallo sch. Ab a Il. 1. 249, cfr. ERBSE (1969: 78): il poeta sembra estendere questa lode a se stesso; proiettare cioè le qualità a lui proprie sul suo personaggio.

[6] Per alcune interpretazioni del secondo dell’Iliade in questo senso si vedano DONLAN (1979: 51-57); TAPLIN (1990: 33 ss.) e DI BENEDETTO (1994: 349-358)

[7] Si veda in generale ANDERSEN (1978).

[8] Per la digressione sulla critica che segue, trovo supporto nelle rispettive interpretazioni teorico-programmatiche di GILL (1996: 29-41, 107-115) e di HAMMER (2002: 3-48).

[9] Si tratta di una linea di pensiero che dall’opera di SNELL (1948), percorre trattazioni fondative come quelle di ONIANS (1952), di DODDS (1957), nonché il lavoro di A. W. H. Adkins a partire da ADKINS (1960); risentono fortemente di questa impostazione FINLEY (19772), e l’opera di E. Havelock, di cui sul tema politico si veda HAVELOCK (1978).

[10] Rimando alla rassegna critica offerta nella prima parte dell’articolo di HAMMER (1998: 1-30).

[11] A proposito di questo contesto di studi bisogna però fare delle distinzioni, sebbene i due aspetti del problema (quello delle possibilità etiche del personaggio omerico e della possibilità di individuare una dimensione politica nell'Iliade), siano naturalmente connessi. Curiosamente, la negazione delle facoltà decisionali degli eroi omerici (di volta in volta schiavi del disegno divino, della 'civiltà di vergogna', o di un'estemporanea composizione orale dell'opera poetica), che tanto bene si accompagna alla negazione di un campo di problematizzazione politica dei contrasti interpersonali tra i personaggi stessi, appare avere rispetto a quest'ultima direzioni culturali in qualche modo opposte. Come giustamente sottolinea uno studioso del pensiero come GILL (1996: 30 ss.), la fondamentale trattazione di B. Snell sul pensiero greco, che diede in qualche modo il via alla linea evoluzionistica d'interpretazione di tale mentalità, secondo la quale vi sarebbe un percorso dal minore al maggiore grado di autocoscienza del come unità da parte dell’individuo, pone le sue fondamenta nel pensiero di Hegel; e allo stesso modo la trattazione dell'etica omerica perseguita nel decennale lavoro di A.W.H. Adkins si poggia su una concezione di normalità del comportamento etico dell'individuo, in base alla quale vengono lette le anormalità omeriche, di matrice kantiana; il tutto presuppone una definizione dell'individuo come unità conoscitiva che, risalendo a Cartesio, si caratterizza come interamente moderna. Ora invece il comune atteggiamento critico di fronte alle espressioni della socialità in Omero, fondato sui presupposti teorici di una certa antropologia sociale -HAMMER (1998: 3 ss.) rintraccia questi presupposti ad esempio nell’opera di A. R. Radcliffe-Brown, da RADCLIFFE-BROWN (1940) a RADCLIFFE-BROWN (1952); altri testi paradigmatici sono EASTON (1959: 210-262) e FRIED (1967)-, sia che si manifesti nella ricerca di forme fisse e comuni alla generalità umana, sia che si voglia porre in una prospettiva diacronica, si avvale di una metodologia di natura strutturale che programmaticamente contrasta con un approccio di matrice idealistica

[12] Fondamentale per la critica ad Adkins è il volume di CAIRNS (1993).

[13] Cfr. infra n. 21

[14] Per la precisione, se nell’Iliade i discorsi diretti costituiscono circa il 45% del poema (7 018 vv. su 15 690), nell’Odissea la proporzione è ancora più stringente (8 225 vv. su 12 103): ma naturalmente va tenuto in conto che nel secondo poema il protagonista si fa a lungo narratore. Trovo i numeri in GRIFFIN (2004: 156 n. 1), tratti da SHMID-STHÄLIN (1929: 92).

[15] Si veda da ultimo la trattazione generale di GRIFFIN (2004: passim) con bibliografia.

[16] Un primo interessante tentativo è quello condotto da FRIEDRICH & REDFIELD (1978: 263- 288); si vedano per il principio di questa tendenza anche GRIFFIN (1986: 36-57), nonché il volume di MARTIN (1989).

[17] Bisogna precisare che il lettore moderno può parlare di tracce, mentre l’uditore antico aveva tutt’altra percezione. Si vedano le considerazioni di DI BENEDETTO (1994: vii ss.). E’ significativo che nel testo di West adibito per la sua traduzione e il relativo Kommentaar, LATACZ (2000) compia la scelta tipografica di evidenziare in corsivo le parti di testo occupate dai discorsi diretti.

[18] Su questo aspetto si focalizza l’importante raccolta di studi edita da BREMER DE JONG KALFF (1987)

[19] Si vedano le prime sistemazioni di DE JONG (1987); LYNN-GEORGE (1988); RICHARDSON (1990).

[20] Si veda da ultimo ROISMAN (2007: 429-446), con bibliografia.

[21] Cfr. Arst. Poet. 1460a 5-12; in ogni caso anche l’attenzione critica platonica a questo aspetto nel III della Repubblica conduce nella stessa direzione. Si vedano su Platone e Omero le limpide considerazioni di GRIFFIN (2004: 156-158).

[22] HAMMER (2002).

[23] In questo senso egli prende in prestito il concetto dinamico di ‘campo’ (field) dagli studi dell’antropologo V. Turner - fondamentali TURNER (1974) e (1986). L’idea di un campo che si allarga e si restringe, di volta in volta declinandosi nei vari contesti, oltre che mostrarsi efficace per l’Iliade grazie alla metafora bellica, appare indubbiamente adattarsi meglio alla finzione letteraria, nonché alla mobilità intrinseca di un contesto mitico che il poeta vuole, sempre nella finzione epica, restituire all’uditorio con verosimiglianza. Inoltre, con ulteriore felice suggestione, alla nozione di campo si affianca quella di performance, qui non tanto eredità degli studi omerici di indirizzo oralistico quanto, più propriamente, come caratterizzante la maniera omerica di rappresentare l’azione politica all’interno del field.

[24] Si veda la recensione di CAIRNS (2004: 345-49).

[25] Nel nono libro Nestore pronuncia due discorsi, uno (9.53-78) di fronte all’assemblea generale dell’esercito (ἀγορή, cfr. 1.54; 2.50; 7. 345, 382; 8. 489; 18. 243; 19. 40; 20. 4), l’altro nel piú ristretto consiglio degli anziani (come in 2. 404 ss., dove pure segue l’assemblea generale). Sulle assemblee iliadiche si vedano tra gli altri, oltre alle pagine classiche di ARENDT (1933: 118-121), SCHOFIELD (1986: passim) e HAMMER (2002: 43-48).

[26] Pagine interessanti sul personaggio di Nestore come mediatore si trovano in DICKSON (1990: 37-71); nel particolare contesto del primo libro si veda, oltre a WILAMOWITZ- MOELLENDORF (1916: 250-251), SEGAL (1971: 90-105)

[27] Tanto che sono proprio questi i versi omerici scelti da EDWARDS (1991: 42-60) per illustrare le rhetorical figures of speech. Ma molti si sono soffermati su questo discorso. Si vedano, oltre ai commenti, LOHMANN (1970: 224 n. 18); MARTIN (1989: 101 ss.); TAPLIN (1992: 101 ss.); TOOHEY (1994, 153-175); ROISMAN (2005: passim)

[28] Cfr. supra, Introduzione.

[29] Per una panoramica sulla funzione dello scettro in Omero si vedano COMBELLACK (1948, 209-217); EASTERLING (1989: 104-121); HAMMER (2002: 81, 84, 86-88, 117-121, 132).

[30] Ha ben inteso la funzione determinante del gesto di Achille GRIFFIN (1980 : 31 ss.). Si veda anche il commento ad l. di LATACZ (2000: 103), e HAMMER (2002: 132)

[31] Seguo, quanto all’interpretazione politica della contesa, HAMMER (2002: 80-92 -sulla contesa, 114-134 -sulla themis).

[32] Cfr. Il. 1. 247a: Ἀτρεΐδης δ ἑτέρωθεν µήνιε. Tutte le traduzioni, con qualche eccezione indicata e qualche modifica, si basano su quella di R. Calzecchi Onesti; con a o b dopo il numero di verso si desidera prendere in considerazione alternativamente il primo (a) o il secondo (b) emistichio

[33] Di fatto questo livello specifico di contrapposizione viene reso possibile dal ritardo in cui si trova rispetto al momento culminante di contrapposizione drammatica: l’intervento di Atena, che frena la volontà regicida del Pelide, reazione emotiva alla notizia dell’oltraggio, consente di sviluppare la contesa verbalmente, laddove agli insulti, di natura personale, seguono le conseguenze politiche di più ampio respiro, quelle che avranno peso per la trama del poema

[34] Su questo carattere dei discorsi dell’Iliade si vedano LOHMANN (1970: 12-30, passim), nonché EDWARDS (1991: 44-48)

[35] Fondamentale per la comprensione e la definizione scientifica di questo tipo di figura dell’epica omerica quale paradeigma è stato AUSTIN (1966: 295-312), da cui vale la pena citare: the paradigmatic stories are drawn from personal experience, family history, or myths outside the troyan legend. They are rhetorical devices whose intention is always persuasive; they are either hortatory (or dissuasive) or apologetic. (…) The digressions of Nestor are both hortatory and apologetic. Queste digressioni paradigmatiche hanno una costante struttura ad anello - cfr. WILLCOCK (1964: 142) e (1977: 41-53)- volta a chiarificare i termini del paragone col passato mitico, con legame analogico od oppositivo. Si configurano dunque anzitutto come narrazione, laddove in essa vengono a confluire i temi della sapienza data dalla memoria. Il paradeigma epico viene trattato anche da KENNEDY (1963: 26 ss.), con riferimento ad Arst. Rhet. 1393a., e da ANDERSEN (1987: 1-13)

[36] D’ora innanzi tutti i riferimenti di questo tipo sono da intendersi come riferiti all’Iliade

[37] Cfr. LATACZ (2000: ad l.).

[38] εἰ σφῶϊν τάδε πάντα πυθοίατο µαρναµένοιϊν,/ οἳ περὶ µὲν βουλὴν αναῶν, περὶ δ ἐστὲ µάχεσθαι.

[39] Cfr. PULLETYN (1995: ad l.)

[40] Per una rassegna critica dei luoghi omerici dove viene espressa questa idea, e per il peso che ha per l’ideologia e la trama del poema, rimando a SCHOFIELD (1986: passim)

[41] Si noti l’allitterazione sacrale- termine usato da HAINSWORTH (1993: ad 9. 63), a proposito della stessa allitterazione, su cui cfr. infra p. 18; cfr. anche DI BENEDETTO (1994: 355 n. 13), che richiama LFrgE (SNELL et al. 1955-2010: I 1717-1718); KIRK (1985: 17 ss., 80), per parte sua attribuisce la forza del verso al rising threefolder: ora però a livello concettuale questa climax viene sicuramente meno. Se la sua analisi è efficace a livello ritmico, non va d’altra parte sottovalutata la forza della cesura centrale, che non corre tanto nel senso di preparare lo sciogliersi dell’ultimo colon, quanto in quello di fermare l’attenzione, al centro del verso, sul richiamo alla compagine achea nella sua totalità.

[42] Sui limiti di carattere storico ma sull’utilità analitica di un utilizzo della terminologia retorica successiva al periodo di composizione del poema si veda TOOHEY (1994:153-154).

[43] È questo un punto fondamentale; si veda, per l’importanza di questo fattore nel poema, HAMMER (2002: 114-133).

[44] Valga per tutti l’affermazione di TAPLIN (1990: 90): he (scil. Nestor) utterly fails to heal the dispute because he defers too much to Agamemnon. Altre interpretazioni parziali e fuorvianti si trovano nei recenti volumi di ALDEN (2000: 74-82); e di LOUDEN (2006: 119-120). Generalmente anche i commenti, con l’eccezione di LATACZ (2000), appaiono insoddisfacenti

[45] La traduzione del passo è di chi scrive.

[46] Sulla sfumatura causale (apodotic), che può presentare αὐτὰρ cfr. DENNISTON (19542 : 55).

[47] Si tenga presente che diversi interpreti, tra questi LOHMANN (1970), TAPLIN (2000), LOUDEN (2006), trovano una divisione tripartita dell’Iliade, le cui cesure, o punti di svolta, sarebbero rappresentate dalle sequenze politiche al centro dei libri 1, 9 e 19.

[48] Sulle considerazioni di ordine narrativo che seguono si vedano LOHMANN (1970: 213 ss.); e i commenti ad l. di HAINSWORTH (1991) e di GRIFFIN (1995).

[49] Dapprima con la proibizione d’intervento nei confronti delle altre divinità (consiglio divino in 8. 2-40), poi con la prova della bilancia (8. 64-74) e i ripetuti fulmini gettati nel campo di battaglia di propria mano (8. 75-77; 8. 132-136). Non è privo d’interesse che protagonisti di quest’ultimo episodio siano proprio Ettore, Diomede e Nestore, e che le reazioni di fronte al fulmine di Zeus rispecchino le posizioni che avranno durante le rispettive assemblee successive: esaltazione di Ettore, impeto irriflessivo di Diomede e superiore, moderata consapevolezza di Nestore saranno infatti fulcri degli ethe che muoveranno le loro parole. Si noti peraltro la consonanza verbale e stilistica, tra la gnome di Nestore in 8. 143-44 (ἀνὴρ δέ κεν οὔ τι ιὸς νόον εἰρύσσαιτο / οὐδὲ µάλ ἴφθιµος, ἐπεὶ πολὺ φέρτερός ἐστι. ma non può penetrare un mortale la mente di Zeus / neppure s’è gagliardo, perch’egli è molto più forte.) e il passo visto in 1. 281, laddove 8. 144b = 1. 281b: sulla stessa linea si pone 9. 69b, (σὺ γὰρ βασιλεύτατός ἐσσι - tu sei il re supremo), su cui cfr. infra p. 18

[50] Considerazioni prospettiche sulla similitudine dei fuochi offre DE JONG (1987: 131-134)

[51] Questo atteggiamento di Ettore fa parte di un’ulteriore linea di discorso politica, dagli esiti tragici, condotta dal narratore, che vede appunto il principe troiano come protagonista: SCHOFIELD (1986: 18-22).

[52] La preoccupazione di Nestore per uno sbocco pratico delle situazioni di stallo si mostra in modo esplicito anche nel suo discorso all’assemblea durante la peira in 2. 342-43: αὔτως γὰρ ἐπέεσσ ἐριδαίνοµεν, οὐδέ τι µῆχος / εὑρέµεναι δυνάµεσθα, πολὺν χρόνον ἐνθάδ ἐόντες. (cosí contendiamo a parole, ma un mezzo / non sappiamo trovarlo, pur rimanendo qui a lungo), dove pure la proposta per l’esercito (2. 362 ss.) è preceduta dalla riaffermazione del potere di Agamennone (2. 344-45; 360a)

[53] La similitudine del pianto come fonte d’acqua verrà ripresa all’inizio del libro sedicesimo a proposito di Patroclo (16. 3-4). Forse questa ripresa indica, come sospetta GRIFFIN (1995: ad l.), la ricaduta della sofferenza di Agamennone su Patroclo a causa di Achille, il quale non ha accettato la riconciliazione; sofferenza che poi ricadrà su Achille stesso, il quale per ora la disprezza

[54] 9. 18-28 = 2. 111-18 + 139-41. L’esclusione dalla ripetizione dei versi centrali del discorso del secondo libro (2. 119-37, dai quali emerge per l’uditorio del poeta l’intenzione complessa di Agamennone, che vorrebbe dalle truppe una risposta contraria a quella che poi si verifica), insieme alla variazione del verso d’esordio e all’opposta reazione dell’uditorio, mostrano una precisa volontà da parte dell’autore di accentuare il pathos della situazione presente variando i moduli precedenti. Si vedano le discussioni in LOHMANN (1970: 214 ss.), DI BENEDETTO (1994: 354-55), e GRIFFIN (1995: ad l.); cfr., contra, le perplessità di HAINSWORTH (1993: ad l.).

[55] Cfr. ἀλκὴν (9. 34, 39); ἀνάλκιδα/ἀνάλκιδας (9. 35, 41)

[56] Echi nelle parole di Diomede (9. 42 ss.) di frasi usate contro Achille da Agamennone (1. 173 ss.) sono state mostrate da LYNN-GEORGE (1989: 84).

[57] Su questo aspetto insiste DICKSON (1990, passim).

[58] La lexis in contrappunto è chiastica nell’ordo verborum nel caso di καρτερός ἐσσι / ἔπλευ ἄριστος, ma rigorosamente parallelistica nella posizione dei dativi; ancora un parallelismo parzialmente anaforico si trova in οὔ τίς / οὐδὲ; da notare ancora il gusto per l’allitterazione del σ in ὀνόσσεται ὅσσοι.

[59] Cfr. supra p. 14

[60] È questo un tema fondamentale nell’oratoria di Nestore, su cui non mi sono particolarmente soffermato in questo lavoro. Esso si inserisce nella generale caratterizzazione dello statuto eroico come completo se fornito di capacità guerriera e capacità politico-oratoria, per il quale cfr. supra, Introduzione e, per Nestore, soprattutto 4. 310-325 e 8. 99-104. Nel contesto oratorio la tarda età diventa punto di forza, e giustifica la digressione paradigmatica. Si vedano in generale AUSTIN (1966: passim); MARTIN (1989: 60 ss.); DICKSON (1994); ROISMAN (2005: passim).

[61] HAINSWORTH (1993: ad l.) nota che probabilmente si tratta di un proverbio, a motivo della scelta di una parola come πολέµου, senza dubbio meno adatta al contesto di ἔριδος. Quesa gnome avrà molta fortuna: cfr. Ar. Pax 1097, Dem. 20. 158, Cic. Phil. 13. 1.

[62] Data la natura generalizzante, è chiaro che il contenuto ideologico si riferisce anche, e forse soprattutto, all’assente Pelide. La menzione delle fratrie è prerogativa di Nestore (cfr. 2. 362-63). Si veda ANDREWS (1961: 129-140).

[63] Si tratta di un hapax in Omero, assente anche nell’Odissea e negli Inni. Vediamo dunque espressa nelle parole di Nestore, ancora una volta, la volontà di definire in espliciti termini politici il ruolo di Agamennone; lo stilema è lo stesso già notato in 1. 280-81 e su Diomede. Cfr. supra n. 49

[64] Cfr. LfrE s.v. εὐρύς: SNELL et al. (1955-2010: II 803-807).

[65] Su questo stilema omerico cfr. EDWARDS (1991: 42-43)

[66] Cfr. HAINSWORTH (1993: ad l.)

[67] Stavolta si passa da un generico molti (per cui cfr. 1. 281 e 9. 73), al più specificamente politico popoli. Si noti l’accento dato dall’enjambement: è lo stesso modulo retorico che si trova in 1. 283-84 a proposito dell’importanza di Achille per tutti gli Achei

[68] Il v. in 9. 99 echeggia l’ultimo verso del breve ma fondamentale discorso di Odisseo alle truppe in 2. 200-206, dove si trova per così dire il manifesto iliadico della regalità unica. Si può notare, poiché si tratta di un altro discorso in cui si esplicitano istanze politiche, una coincidenza di moduli retorici: cfr. e.g. 2. 201a οἳ σέο φέρτεροί εἰσι (che di te son più forti), ma anche la parenesi di 2. 200b καὶ ἄλλων µῦθον ἄκουε (ascolta il parere anche degli altri) ~ 9. 100b-101a

[69] Cfr. 11. 656-803. Su questo discorso si veda l’importante PEDRICK (1983: 55-68), con bibliografia alle nn. 1 e 2; MINCHIN (1991: 273-285), nonché l’analisi retorica di TOOHEY (1993: 158- 161). Solo di passaggio vorrei far notare come anche in questo discorso, nel punto nevralgico del tentativo di persuadere Patroclo si trovino i medesimi stilemi di cui sopra si è discusso. Si veda il distico, denso di implicazioni, in 11. 786-87 (Nestore riporta parole di Menozio, padre di Patroclo): τέκνον µὸν, γενεῇ µὲν ὑπέρτερός ἐστιν Ἀχιλλεύς, / πρεσβύτερος δὲ σύ ἐσσι· βίῃ δ γε πολλὸν µείνων (figliolo, di stirpe più grande è Achille / ma tu sei più anziano; di forza egli è molto migliore).

[70] Non bisognerà dimenticare che il ruolo politico di Nestore, come è stato tracciato in questo lavoro, non è scindibile dal suo ruolo militare, e, più generalmente, da quello di preserver of social solidarity - cfr. ROISMAN (2005: 35-38). Passi esemplari sono l’invocazione agli dei in 15. 370 ss. e 15. 659 ss., entrambi nell’imminenza dell’assalto di Ettore alle navi, nel momento effettivo di maggiore crisi militare. Ma in questa sede è stata presa in esame la dimensione più strettamente oratorio-assembleare.