Reseña/Review

 

Davide Bruno

 

Éloges collectifs des femmes à la Renaissance française, textes réunis et édités par Renée-Claude Breitenstein, avec la collaboration de Jean-Philippe Beaulieu et Éliane Viennot, Saint-Étienne: Presses universitaires de Saint-Étienne, 2021, 374 págs.

[ISBN 978-2-86272-743-1]

 

 


Fecha de recepción: 17 de octubre de 2023
Fecha de aceptación: 24 de noviembre de 2023

 

 

 


N

egli ultimi decenni si è assistito ad un crescente interesse per la Querelle des femmes nella prima età moderna, tanto per la sua importanza nella cultura e letteratura del Rinascimento quanto per il suo significato all’interno della storia di genere. In questo volume, Renée-Claude Breitenstein ha raccolto alcuni dei testi più significativi redatti in Francia tra la fine del XV secolo e la prima metà del XVII, scritti da uomini e donne per elogiare le donne.

R. C. Breitenstein è professoressa di letteratura francese all’interno del dipartimento di Modern languages, literatures and cultures presso la Brock University in Ontario, incarico ottenuto dopo il dottorato in Early modern French Literature conseguito presso la McGill University a Montreal. I suoi interessi spaziano dalla storia del libro a quella della retorica, ma nel suo percorso di ricerca rivestono un ruolo importante le tematiche legate ai testi filogini scritti in epoca moderna, in particolar modo per quel che riguarda l’area francese tra il XV e il XVII secolo.[1]

Éloges collectifs des femmes à la Renaissance francese è, come detto, un’antologia di dieci testi scritti in francese scelti dall’autrice con la collaborazione di Jean-Philippe Beaulieu e di Éliane Viennot, ritenuti particolarmente significativi per la comprensione del dibattito dell’epoca. La loro varietà mostra come le tematiche filogine potessero essere trattate in versi o in prosa, da uomini o da donne, lasciate circolare tramite la stampa o rimanere manoscritte, senza che d’altra parte vi sia nell’autrice l’intenzione di produrre un inventario delle opere in difesa della donna redatte in Francia nel periodo preso in considerazione: come è precisato nell’introduzione (p. 10), sono stati inseriti testi completi ma, per ragioni di lunghezza, alcuni, seppur importanti, sono stati lasciati fuori dal volume. Ogni testo è introdotto da una breve biografia dell’autore – o dell’autrice – e da un primo commento all’opera che mira a fornire gli strumenti essenziali per la sua comprensione. Il volume si chiude con un glossario (pp. 335-350) dedicato ai termini di difficile comprensione contenuti nei testi editi, una sezione bibliografica (pp. 351-356), in cui sono indicati alcuni dei principali studi sulle opere edite nell’antologia, infine un indice dei personaggi femminili citati all’interno del volume (pp. 357-370). Per quanto riguarda i criteri d’edizione seguiti dall’autrice, sono indicati in un’apposita sezione in chiusura dell’introduzione (pp. 22-24), da cui emerge l’attenzione per una più facile lettura dei testi attraverso una modernizzazione dell’ortografia e della punteggiatura, nonché tramite l’aggiunta, tra parentesi quadre, di termini necessari alla sintassi francese attuale, laddove fossero assenti nei testi originali. Le note a piè di pagina sono state limitate all’essenziale e mirano a facilitare la comprensione di passi complessi, nonché a chiarire il significato di alcuni riferimenti biblici, storici e mitologici.

Particolare attenzione merita a mio avviso l’approccio seguito dall’autrice nell’impostare la raccolta, anche al fine di poter comprendere quale contributo possa portare al dibattito storiografico sulla Querelle des femmes, attraverso la valorizzazione delle tecniche argomentative e retoriche impiegate da autori filogini tra il XV e il XVII secolo.

Conviene perciò ricordare qui che alle origini del dibattito sulla natura della donna in Europa tra la fine del Medioevo e la prima età moderna si può collocare il De mulieribus claris di Boccaccio (1374), a cui seguì qualche anno dopo la Cité des dames di Christine de Pizan (1404-1405), scritta in risposta alla diffusione del Roman de la rose di Jean de Meun.[2] È tuttavia alla fine del XV secolo e agli inizi del XVI che la Francia, così come l’Italia, vide la produzione e diffusione di opere filogine che, grazie alla stampa, poterono circolare più facilmente. Uno degli aspetti topici di questa produzione è la presenza di numerosi elogi collettivi di donne, che celebrano il genere femminile capovolgendo l’assunto tradizionale della sua inferiorità rispetto all’uomo. È su questa tipologia di testi che si è focalizzata l’attenzione dell’autrice.

Come è giustamente sottolineato in apertura del volume, il fiorire degli elogi dedicati alle donne nel Rinascimento fu favorito da un contesto culturale, sociale e tecnologico propizio a questo genere di tematiche (pp. 11-12). In primo luogo, questi testi si diffusero in parallelo alla rivalutazione del ruolo della donna in seno alla famiglia e, più in generale, del matrimonio, mettendo così in discussione la tradizione dell’intellettuale celibe, sebbene quest’ultima mantenesse la propria forza lungo il Rinascimento e oltre.[3] A questo proposito l’autrice valorizza il ruolo giocato da Erasmo da Rotterdam, che fu autore della Christiani matrimonii institutio (1526), tuttavia bisogna evidenziare che anche nel XV secolo non mancarono opere dedicate al matrimonio: si pensi, soprattutto, al De re uxoria di Francesco Barbaro (1416), stampato nel 1513, stesso anno in cui a Roma apparve il Li Nuptiali di Marc’Antonio Altieri. Particolarmente sentita nella cultura umanistica tra il XV e il XVI secolo,[4] la tematica matrimoniale generò un dibattito in cui non mancarono voci contrarie, come nel caso di Giovanni della Casa e del suo An uxor ducenda sit (1537). Pertanto, non stupisce che all’interno di alcuni dei testi editi nel volume si riscontri la presenza di passi dedicati all’amore coniugale, come nel Le recueil des dames illustres en vertu di Alexandre Van den Bussche (pp. 199-209).

Aggiungerei che lo sviluppo del dibattito sulla donna fu favorito anche dalla riscoperta di Plutarco e del suo Mulierum virtutes, tradotto in latino nel 1464 da Alamanno Rinuccini e successivamente stampato a Brescia nella sua traduzione latina nel 1485.[5] Come ricorda l’autrice, l’operetta plutarchea, inclusa nei Moralia, fu una delle opere antiche più citate all’interno degli elogi dele donne e fu tradotta più volte in francese nel corso del XVI secolo (p. 15).

Accanto ai cambiamenti culturali intercorsi durante il Rinascimento, nel volume si evidenzia che la presenza di numerose donne di potere, o vicine ad esso, stimolò ulteriormente la produzione letteraria filogina dei secoli XVI e XVII incentivando la produzione di opere dedicate a delle donne, secondo la tradizione inaugurata da Giovanni Boccaccio e il suo De mulieribus claris, dedicato alla contessa di Altavilla Andrea Acciauoli. In questa prospettiva, si segnalano la Déclamation de la noblesse et préexcellence du sexe féminin di Henri Corneille Agrippa (1529) dedicata a Margherita d’Austria (pp. 77-79) e il Recueil des dames illustres en vertu di Alexandre Van den Bussche (1575-1576) dedicato a Jeanne Chabot de Jarnac, moglie del governatore del Berry Claude de la Châtre (pp. 175-176). Per ritornare al caso italiano, oltre al già ricordato esempio di Boccaccio, occorre notare che anche il De mulieribus di Mario Equicola, scritto nel 1501, è aperto da una lettera dedicatoria indirizzata a Margherita Cantelmo, amica di Isabella d’Este.

Sebbene quest’aspetto non sia stato approfondito dall’autrice, qui è opportuno ricordare che il rapporto tra i trattati filogini della prima modernità e la presenza di donne influenti e colte nelle corti italiane ed europee, capaci talvolta di imporsi nel panorama culturale dell’epoca, è stato ampiamente discusso dalla storiografia recente, in particolar modo a seguito della pubblicazione, nel 1977, con successiva ristampa nel 1984, dell’articolo di Joan Kelly intitolato Did women have a Renaissance?,[6] che ribaltò l’assunto, ormai datato, dell’uguaglianza tra i sessi nel Rinascimento italiano e poi europeo. Al contrario, secondo la studiosa statunitense, la prima epoca moderna avrebbe visto una riduzione dell’autonomia femminile rispetto al periodo medievale. Ulteriori studi hanno messo in evidenza la tensione, presente in alcuni testi filogini del Rinascimento, tra posizioni innovative a favore di una rivalutazione del ruolo della donna nella società e istanze conservatrici che ne riflettevano la posizione subordinata rispetto all’uomo, tensione risolta di solito a favore delle seconde,[7] mentre altri hanno messo in evidenza la svolta rappresentata dal concilio di Trento nel rapporto tra i due sessi nell’Europa dell’epoca.[8]

Nondimeno, vi erano anche donne capaci di leggere e rappresentare pertanto un pubblico potenzialmente interessato ai trattati filogini. Così, l’autrice ricorda come la diffusione della stampa sia stata il terzo fattore che permise il fiorire degli elogi femminili, in particolar in Francia, dove furono stampati sia i trattati cinquecenteschi che opere più antiche assunte come modelli, ovvero Boccaccio e Plutarco, entrambi tradotti in francese (p. 12).

Dopo aver presentato brevemente il contesto favorevole alla diffusione degli elogi di donne, l’autrice passa ad analizzare le tecniche argomentative e gli espedienti retorici che animano la produzione letteraria dell’epoca, ricordando come la Querelle des femmes fosse in primo luogo un dibattito che prevedeva argomentazioni pro e contra (pp. 12-14). Così, non stupisce affatto ritrovare nei testi inclusi nell’Antologia una vis polemica tradita dagli attacchi degli autori filogini nei confronti della folla di detrattori delle donne, spesso anonima, che, mentendo, si sarebbe macchiata della colpa di infangare il buon nome delle donne. Gli autori degli elogi di donne, pertanto, potevano giustificare la scelta dell’argomento trattato con la volontà di ristabilire la verità minacciata dalla controparte misogina, sulla base dei ragionamenti ed exempla impiegati nel corso dell’opera. È il caso, ad esempio, del prologo di Jean Marot nel suo La vrai-disant avocate des dames del 1506 (pp. 33-35) oppure della Quatrième épitre invective (1539) di Hélisienne de Crenne (pp. 141-149). Simili passaggi si ritrovano anche in alcuni trattati prodotti in ambito italiano, ad esempio nel Della eccellenza e dignità delle donne di Galeazzo Flavio Capra (1525).

La tendenza a dibattere una questione da due punti di vista opposti era profondamente radicata nella mentalità dell’epoca e derivava dalla tradizione medievale dell’insegnamento della logica, tuttavia il genere dell’elogio proveniva in primo luogo dalla tradizione classica della retorica epidittica, il terzo genere dell’oratoria identificato da Aristotele nella sua Retorica (Rhet. 1.3, 1358b) e coltivato anche dalla cultura medievale, comprendente la laus e la vituperatio (Quint. Inst. Or. 3.4.12). La sua funzione era quella di elogiare – o biasimare – uomini, divinità, ma anche altri esseri animati e inanimati, al fine di far sfoggio delle proprie abilità oratorie ma, come ricordava Quintiliano, orazioni epidittiche erano pronunciate anche in occasioni pubbliche, come durante i funerali oppure i processi, dipingendo in quest’ultimo caso un’immagine positiva o negativa dell’accusato e pertanto orientando il giudizio dei giudici (Quint., Inst. Or. 3.7.2).

Quest’ultimo passo del retore di origine spagnola rettificava le posizioni di Aristotele e Cicerone, i quali riconoscevano all’elogio un’importanza etico-morale senza che tuttavia avesse un ruolo politico, proprio delle orazioni deliberative e giudiziarie. Al contrario, il genere epidittico poteva avere anche applicazioni pratiche e contribuire, tramite la sua dimensione etico-morale, a rinforzare i valori condivisi dalla comunità ma, andando oltre, anche a crearne di nuovi.[9]

Qui è opportuno ricordare che, con la riscoperta dei trattati di retorica prodotti nell’antichità, in latino così come in greco, a partire dal XV secolo la nuova cultura umanistica si riappropriò del sapere classico ed elesse il sapere retorico a guida essenziale di ogni forma di conoscenza. Come è ben noto, l’attenzione alle tecniche argomentative e alla lingua è una delle caratteristiche più importanti dell’Umanesimo.[10] Come ricordato da R. C. Breitenstein,[11] il tentativo di definire la donna, non raro fin dall’antichità, sfociava nell’elogio o nel biasimo ad opera del sapere ufficiale e della letteratura dell’epoca, posto che, secondo l’autrice, la tematica della donna si prestava bene ad un discorso che ne poteva esacerbare virtù o vizi.

Un ulteriore elemento caratteristico di questi elogi è il ricorso a fonti, antiche e moderne, che ritornano spesso in testi anche differenti tra loro. È il caso, soprattutto, di Plutarco, ma anche di Valerio Massimo e di Boccaccio, autori prediletti dagli autori filogini, accanto a cui trovavano posto anche citazioni tratte da Tito Livio o da raccolte posteriori di donne illustri come quella di Ravisius Textor (1521). Inoltre, l’autrice fa notare come uno dei primi testi che nel XVI secolo affermava la superiorità delle donne, ovvero il De nobilitate et praecellentia foeminini sexus di Agrippa, tradotto in francese sotto il titolo di Déclamation de la noblesse et préexcellence du sexe féminin (riproposto nel volume alle pagine 65-132), a partire dall’edizione parigina del 1530, divenisse esso stesso un modello per i trattati successivi e ancora nel XVII secolo Marie de Gournay annoverava l’umanista tedesco tra i difensori delle donne (p. 324).

D’altro lato, è opportuno mettere in evidenza come alcuni dei testi riportati nella raccolta fossero frutto di traduzioni e riscritture di opere redatte fuori dall’area francese, segno, d’atro canto, che la Querelle des femmes fu un fenomeno culturale che esulava da precisi confini linguistici e che si giovò dell’operato di traduttori, dal greco come dal latino e dall’italiano. È questo il caso della già citata Déclamation de la noblesse et préexcellence du sexe féminin, redatta originariamente in latino e stampata per la prima volta ad Anversa nel 1529, ma anche dell’opera di Charles Estienne, che tradusse e riadattò i Paradossi di Ortensio Lando nel 1553, tra i quali figurava un elogio delle donne (pp. 153-166). Quest’ultimo fu ripreso successivamente da Marie de Romieu (pp. 263-283), senza che l’autrice esplicitasse la sua fonte. Pertanto, in questo senso all’interno della Querelle des femmes operarono anche transferts culturels che permisero a testi redatti in lingue differenti di circolare e dialogare tra loro.[12]

I modelli, classici e moderni, fornivano agli autori filogini una serie di argomentazioni che, se da una parte miravano ad elogiare il genere femminile, dall’altro venivano richiamate per difenderlo dagli attacchi misogini. Nella sezione dell’introduzione intitolata Arguments, ou Quand “louange” rime avec “revenge”… l’autrice ricorda da un lato il carattere polemico e combattivo degli elogi delle donne nel Rinascimento, tema già trattato nelle pagine precedenti, dall’altro alcuni degli argomenti topici usati dagli autori nelle loro opere, suddivisibili in tre categorie: i richiami all’autorità (ad esempio la Bibbia, Aristotele, Plutarco), le dimostrazioni logiche e gli exempla.

Qui si possono fare alcune considerazioni. Vista la natura dichiaratamente polemica di questi trattati, essi miravano in primo luogo a convincere gli avversari della validità delle proprie opinioni, attingendo di conseguenza a tutti gli strumenti di cui potevano disporre. I cataloghi di donne illustri, come il De mulieribus claris di Boccaccio, rappresentavano in questo senso un’arma utile a dimostrare che le donne, nel passato come nella contemporaneità, si erano imposte in tutti i campi dell’esperienza e del sapere, rivaleggiando e anche superando la controparte maschile. Le strategie impiegate potevano variare a seconda dell’autore e troviamo pertanto delle brevi biografie di donne celebri (è il caso del Recueil des dames illustres en vertus di Alexander Van den Bussche) oppure la semplice menzione del nome. In ogni caso, l’elemento più importante che si doveva ricavare dall’elenco di personaggi femminili era il loro valore etico-morale: le grandi donne potevano divenire così exempla virtuosi da emulare, come affermava chiaramente Alexander Van den Bussche nella dedica a Jeanne Chabot (p. 175).

All’interno di questi testi si possono riscontrare anche altre tecniche retoriche volte a garantirsi l’adesione del pubblico alle tesi filogine avanzate. In particolare, se l’amplificatio era l’argomentazione tipica dell’orazione epidittica in quanto permetteva di valorizzare il personaggio o l’atto trattato a partire dalla sua importanza, bellezza, nobiltà,[13] nei trattati filogini si può notare una particolare forma di amplificatio, ovvero l’amplificatio per comparationem: tecnica spiegata anche da Quintiliano nell’VIII libro dell’Institutio Oratoria (Inst. Or. 8.4.9-12), utile a mettere in risalto l’oggetto dell’elogio comparandolo con un altro elemento. Nel caso degli elogi delle donne, l’elemento di comparazione era di norma l’uomo, inteso come maschio. Ciò è evidente, ad esempio, in un passo della Déclamation de la noblesse et préexcellence des femmes di Agrippa (pp. 92-93). È chiaro come qui agisca la mentalità dicotomica dell’epoca, in cui la femmina era opposta al maschio e i due sessi erano pertanto concepiti gerarchicamente: testi che predicavano l’uguaglianza tra uomo e donna rimasero rari, sebbene non manchino esempi in tal senso, come vedremo a breve. Del resto, l’opposizione tra il principio maschile e quello femminile era stata teorizzata da Aristotele nel I libro della Metafisica e influenzò profondamente il pensiero rinascimentale.[14]

L’ultima sezione dell’introduzione è intitolata Dynamismes et ruptures: vers quelque chose de neuf (pp. 19-22), in cui sono messi in luce alcuni dei cambiamenti più vistosi in seno alla Querelle des femmes tra il XVI e il XVII secolo. In particolare, l’autrice evidenzia due aspetti su cui è opportuno soffermarsi. In primo luogo, nota che a partire dalla seconda metà del XVI secolo si assistette ad una maggiore presenza di voci femminili all’interno del dibattito sulla donna, laddove in precedenza gli autori erano stati principalmente uomini. Si tratta di un aspetto che emerge bene dalla raccolta di cui ci occupiamo, dove al di là dei testi composti da Jean Marot e Henri Corneille Agrippa, troviamo quello composto da Hélisenne de Crenne nel 1539, cui segue una maggior presenza di autrici che prendono le difese del proprio sesso, come Madeleine Neveu e Catherine Fradonnet (1579), Marie de Romieu (1581) e Marie de Gournay (1622). È interessante notare che anche in Italia due delle voci femminili più autorevoli all’interno della Querelle des femmes, ovvero Moderata Fonte e Lucrezia Marinella, pubblicarono le loro opere nel 1600, sebbene in ambito italiano la partecipazione delle donne all’interno di questo dibattito si può riscontrare già nel XV secolo, come nel caso di Cassandra Fedele e Laura Cereta. D’altra parte, non va dimenticato che in Francia Christine de Pizan scrisse agli inizi del ‘400, il che dimostra quantomeno che la Querelle des femmes vide fin dai suoi albori nel Tardo Medioevo una notevole partecipazione femminile. Questa precoce presenza all’interno del dibattito letterario è riconosciuta dall’autrice della raccolta in esame, la quale tuttavia evidenzia come, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, si possa riscontrare un particolare vigore nelle autrici che si misero in gioco in prima persona per difendere il proprio sesso e denunciare le posizioni misogine della loro epoca, nonché gli svantaggi legati alla loro condizione (p. 20). È il caso, soprattutto, della problematica legata all’accesso alle lettere e all’educazione, spesso ostacolato dalla società del tempo che non vedeva di buon occhio l’istruzione femminile, che difatti rimase piuttosto circoscritta rispetto a quella maschile.[15]

In secondo luogo, l’autrice sottolinea la novità rappresentata dal testo di Marie de Gournay intitolato Egalité des hommes et des femmes (pp. 304-333), che chiude significativamente la raccolta. A suo avviso, l’opera della Gournay si distinguerebbe dalle altre per le sue posizioni a favore dell’uguaglianza tra i sessi, come si evince dal titolo. Pertanto, nell’opera troviamo criticati non solo i detrattori delle donne, ma anche gli autori precedenti che avevano posto il sesso femminile al di sopra di quello maschile (p. 319). Le argomentazioni della Gournay, d’altra parte tratte dai suoi predecessori e fondate quindi sull’autorità – biblica nonché filosofica – e i cataloghi di donne illustri, miravano a provare l’uguaglianza naturale tra i due sessi senza esprimere una preferenza per l’uno o l’altro: una logica che contrastava con quella della retorica encomiastica, fondata sull’amplificatio, e che apriva la strada a un nuovo modo di pensare il rapporto tra i due sessi, che arrivò a piena maturazione con il De l’égalité des deux sexes di François Poulain de la Barre (1673) il quale impiegò gli strumenti del pensiero cartesiano, abbandonando pertanto la tradizione encomiastica del XVI secolo (p. 22)[16].

In conclusione, il volume, interessante anche per lettori non dotati di competenze specialistiche, rappresenta uno strumento utile anche per accostarsi perla prima volta a tematiche fondamentali della storia culturale europea e in particolare alle linee argomentative attraverso cui è maturata anche grazie all’arte retorica la Querelle des femmes, che ha suscitato, e suscita ancora oggi, un ampio dibattito tra gli studiosi.

In particolare, l’introduzione, sebbene relativamente breve, traccia nondimeno le linee guida essenziali per comprendere discussioni di vario tenore fiorite sulla donna nel Rinascimento, mentre l’apparato di note, il glossario e i rimandi bibliografici permettono una più facile comprensione dei testi editi agevolando la fruizione delle indicazioni per ulteriori approfondimenti. Infine, l’attenzione riservata da R. C. Breitenstein alla dimensione retorica degli elogi delle donne invita il lettore a non sottovalutare l’importanza delle tecniche narrative impiegate dagli autori, sia filogini che misogini, segno della rilevanza della retorica nella cultura rinascimentale malgrado le valutazioni negative talvolta ad essa riservate da parte di taluni studiosi della Querelle[17].

 

 

Davide Bruno

Università degli Studi di Firenze

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Bibliografía

 

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[1] Tra i vari studi, qui è opportuno ricordare Breitenstein (2016).

[2] Vd. Bell (1976).

[3] Vd. Walter (1980).

[4] Sul matrimonio nella filosofia d’amore nel Cinquecento, vd. Boulègue (2020).

[5] Su cui vd. Tanga (2010).

[6] Vd. Kelly (1984).

[7] Vd. ad esempio Benson (1992).

[8] Su cui vd. Sberlati (1997).

[9] Come affermato da Cassin (1991).

[10] Vd. Vasoli (1984).

[11] Ovvero Breitenstein (2016).

[12] Su questo concetto, vd. Espagne (2013).

[13] Vd. ancora Breitenstein (2016).

[14] Vd. MacLean (1980).

[15] Per un primo approccio alla questione, vd. Lirosi (2017); Wiesner-Hanks (2017).

[16] Su quest’opera e più in generale sulla questione femminile nel Seicento francese vd. anche Dorlin (2000).

[17] Vd. Bock, Zimmermann (2002).